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Made in Italy, dall’Irpinia a New York: la storia di Giuseppe 'Sal' Salzarulo

Made in Italy, dall’Irpinia a New York: la storia di Giuseppe 'Sal' Salzarulo

Giuseppe Salzarulo — per tutti “Sal” — non è partito per l’America con il sogno di restare ed è rimasto quasi per errore.

Nato nel 1948 a Lioni, un paese in Irpinia, in provincia di Avellino poco prima di compiere 18 anni, sapeva che sarebbe dovuto partire per il servizio militare ma non voleva andare. Sua madre insisteva per fargli raggiungere altri due figli emigrati in America già nel 1955 e, nel 1965.

Un suo cugino che lavorava nell’esercito gli suggerì di andare a New York per soli tre mesi, poiché la cosa poteva forse aiutarlo a ottenere un nullaosta per posticipare la leva.

Giuseppe accettò, ma con un’idea precisa in testa: guadagnare un po’ di soldi per comprarsi una Giulietta, l’auto sportiva, appena compiuti 18 anni. Tuttavia, in famiglia non tutti erano d’accordo. L'unico suo fratello rimasto in Italia, che lavorava nell'attività di famiglia di Produzione di Mozzarella, avrebbe voluto trattenerlo per farlo in entrare in affari con lui. Ma la decisione era presa: sarebbe andato “solo per tre mesi” e poi sarebbe tornato. Così partì da Napoli a bordo della nave Michelangelo, diretto verso un futuro del tutto inaspettato.

Il 7 marzo 1966, dopo una settimana di navigazione, arrivò a New York sicuro di rientrare al più presto a Lioni ma il nullaosta per la leva non arrivò mai. In Italia, fu dichiarato disertore e non poté fare ritorno in patria.

In cerca della propria strada

Giuseppe si ritrovò così, suo malgrado, a dover restare a New York e costruirsi una nuova vita. La famiglia Salzarulo era già da generazioni nel mondo dei latticini a Lioni e uno dei fratelli emigrati in America anni prima aveva avviato a Brooklyn una catena di pork store, chiamata A&S ,dove produceva anche mozzarella fresca; gli sembrò quindi ovvio proporre al nuovo arrivato di lavorare con lui, ma Giuseppe non aveva nessuna intenzione di fare mozzarella a New York ed era deciso a trovare la sua strada..

Iniziò così a insegnare agli altri a fare la mozzarella, girando per i nuovi negozi gastronomici italo-americani che stavano aprendo in quegli anni e lavorando nell’attività del fratello. Era bravo, ma non era quello il lavoro che voleva, la vita del negozio non faceva per lui. Decise così, dopo 10 anni, di aprire un ristorante raffinato stile New York nel New Jersey. Ma anche la vita del ristoratore non faceva per lui: si era appena sposato e non vedeva mai sua moglie, in più alcuni aspetti del settore non gli piacevano. Decise di chiudere.

La sfida decisiva

Dopo l’esperienza nel mondo della ristorazione, Giuseppe iniziò a importare pasta dall’Italia, vendendola ai negozi italiani di New York e dintorni. Ogni volta che entrava in un negozio per vendere la pasta, però, non riusciva a non guardare la mozzarella in vendita . Ai suoi occhi, quella mozzarella non poteva nemmeno essere lontanamente definita una vera mozzarella .

Un giorno, entrando nel Corona Pork Store, nel Queens, non riuscì più a trattenersi. Conosceva bene il proprietario, Rocco, e con la confidenza che c’era tra loro, disse:
«Ma come fai a vendere questa mozzarella?»

Rocco, un po’ stizzito, rispose:
«Perché, tu la sai fare meglio?»

Giuseppe, con fierezza e ironia, replicò:
«Senti a me, uagliò, io la faccio meglio anche se la faccio coi piedi anziché con le mani!»

A quel punto, Rocco lo sfidò:
«Allora portamela. Fammi vedere!»

Giuseppe accettò, anche se riluttante: non voleva tornare a fare mozzarella, ma non poteva tirarsi indietro davanti a quella sfida.

Tornato a casa preparò 20 chili di mozzarella con il suo metodo tradizionale e li consegnò a Rocco. Quando il negoziante la vide e la assaggiò, non poteva credere che fosse stata fatta in America. Gli disse:
«Questa mozzarella l’hai fatta arrivare dall’Italia.»

Giuseppe rispose con orgoglio:
«L’ho fatta io, qui.»

Rocco allora gli chiese quanto doveva pagare. Giuseppe, senza interesse per il guadagno, rispose:
«Dammi gli stessi soldi che dai al tuo fornitore.»

Rocco andò nel retrobottega, pesò la mozzarella e tornò con un mazzetto di banconote. Giuseppe, che si fidava, le infilò in tasca senza nemmeno contarle. Una volta tornato nel furgone, per curiosità, volle controllare quanto gli aveva dato. Quando vide l’importo, pensò che si fosse sbagliato e, per onestà, rientrò nel negozio.

«Rocco, guarda che ti sei sbagliato», gli disse.
«Come, non bastano?», rispose Rocco.
«No no, assolutamente. Volevo solo dire che forse hai sbagliato i conti.»

Rocco prese il foglietto col peso della mozzarella, fece i calcoli di nuovo davanti a lui e gli dimostrò che non c’era alcun errore. A quel punto, Giuseppe fu colpito: quella mozzarella valeva davvero così tanto?
Poi Rocco disse:
«Allora è giusto? Bene. La prossima settimana me ne porti il doppio.»

La nascita di Lioni Latticini

Quella fu la scintilla. Giuseppe, che non voleva fare business con la mozzarella, si ritrovò immerso in un’avventura nuova. Non aveva un laboratorio, così iniziò a produrla nel garage di casa.

Il passaparola fece il resto. Lasciò l’importazione della pasta e si dedicò a tempo pieno alla produzione della mozzarella “come si fa a Lioni”. Da subito, decise che avrebbe chiamato la sua attività Lioni Latticini, in onore del suo paese d’origine, dove non era potuto tornare.

Nel 1980, dopo il terremoto dell’Irpinia, arrivò in America anche il nipote Salvatore, panettiere in Italia. Aveva lasciato Lioni per motivi famigliari e voleva aprire un forno, ma quando dovette comprare casa, Giuseppe gli propose:
«Perché non prendi una casa con un locale commerciale e vieni a fare la mozzarella con me?»
Così nacque la società tra zio e nipote, che fece crescere Lioni Latticini ancora di più.

Quando Giuseppe iniziò a produrre mozzarella nel garage di casa, preparava circa 100 libbre al giorno. Ben presto la mozzarella Leoni ha varcato i confini di New York arrivando anche a Boston Philadelphia e poi nella grande distribuzione. Oggi, grazie a decenni di lavoro, passione e dedizione, la Lioni Latticini produce oltre 60.000 libbre al giorno, con stabilimenti all’avanguardia nel New Jersey e nell’Upstate New York, nei pressi degli allevamenti.

Giuseppe è stato anche uno dei primi a produrre burrata in America, studiando con esperti italiani come replicare la ricetta senza poter importare il prodotto. Ancora oggi importa panna di bufala direttamente dall’Italia per realizzare una mozzarella di bufala campana degna del suo nome. Non ha mai voluto “americanizzare” il suo prodotto: «Io la mozzarella la so fare solo così, come l’ho imparata a Lioni.»

Nel corso degli anni, i formaggi firmati Lioni hanno ottenuto numerosi riconoscimenti e premi di settore, grazie alla qualità eccellente delle materie prime, al rispetto delle tecniche tradizionali, all’artigianalità italiana e a una costante innovazione nel rispetto della tradizione. Giuseppe oggi può dire con orgoglio che quella tradizione, portata oltre oceano con fatica e determinazione, è più viva che mai.

Un risultato straordinario, costruito senza dimenticare l’essenza di tutto: la famiglia. Lioni Latticini è tuttora un’azienda familiare, gestita con la stessa passione delle origini, radicata nei valori, nei saperi e nella cultura contadina dell’Irpinia.

La tradizione non solo continua, ma si rinnova ogni giorno, passando da una generazione all’altra. I figli di Giuseppe, Salvatore e Andrea, insieme alla famiglia del socio e nipote Salvatore, rappresentano la sesta generazione. I Salzarulo continuano a essere pienamente coinvolti in ogni aspetto dell’azienda: dalla produzione quotidiana alla gestione operativa, fino alle vendite, al marketing e allo sviluppo di nuovi prodotti.”

E proprio sul finire dell’intervista, uno dei figli di Giuseppe ci regala una frase che racchiude tutta la potenza di questa storia:

«Tutti i bambini da piccoli vogliono fare il poliziotto o il pompiere. Io ho sempre e solo voluto essere come mio padre.» (Germana Valentini)

(© 9Colonne - citare la fonte)