di Paolo Pagliaro
Ogni anno, alla vigilia della manovra, va in scena una partita al ribasso per capire se il Ministro della Salute riuscirà a strappare qualche miliardo in più al Ministero dell’Economia. Le opposizioni accusano il governo di definanziare la sanità e il governo cita i miliardi stanziati – sempre in aumento rispetto all’anno precedente. Ma è un gioco con i dadi truccati, perché quei numeri non tengono conto dell’inflazione e perché in Occidente il finanziamento della sanità si misura non in valore assoluto, ma in percentuale sul PIL.
Oggi la Fondazione Gimbe, un osservatorio indipendente, ha diffuso un rapporto da cui risulta che in Italia la spesa sanitaria pubblica si ferma al 6,3% del PIL, percentuale inferiore sia alla media Ocse che è del 7,1 sia a quella europea che è del 6,9. Tra i paesi europei sono 13 quelli che destinano alla sanità una quota del Pil superiore a quella italiana. Per spesa pubblica pro-capite l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi del G7 ed è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale.
Mentre lo Stato riduceva il proprio impegno finanziario in sanità, le famiglie hanno dovuto compensare aumentando drasticamente la propria spesa sanitaria diretta. Questo processo sta trasformando il nostro sistema sanitario da prevalentemente pubblico a un sistema misto dove i privati sostengono un carico crescente, quando possono permetterselo, e dunque con evidenti problemi di equità sociale.
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