di Paolo Pagliaro
Nel pomeriggio del 3 novembre 1917, di ritorno dalle trincee di Caporetto dove aveva visto morire molti dei suoi compagni, l’artigliere marchigiano Alessandro Ruffini, 23 anni, incrociò il generale Andrea Graziani ma non ebbe la prontezza di togliersi il sigaro di bocca. Se fu sbadataggine o un gesto di sfida non lo sapremo mai, sappiamo invece che per questo affronto il generale lo fece fucilare sul posto.
Per riabilitare la memoria del soldato Ruffini e delle centinaia di militari italiani uccisi per ordine dei loro superiori durante la Prima guerra mondiale, anni fa si mosse il Parlamento. Ma l’esito del dibattito fu sconfortante: la legge che prevedeva la riabilitazione dei fucilati, approvata dalla Camera, fu poi completamente modificata dal Senato che trasformò i riabilitati in perdonati.
Adesso la discussione su una delle pagine più buie della nostra storia militare si è trasferita al consiglio regionale del Veneto, che in questi giorni sta discutendo un disegno di legge con cui la Lega, per restituire l’onore ai soldati fucilati, propone che una commissione tecnica esamini ogni singolo caso, distinguendo fra le condanne riconducibili al tradimento o a gravi reati comuni e quelle causate dall’isteria dei comandanti e dalle disposizioni di Cadorna. Fratelli d’Italia non è d’accordo e chiede di stringere, e di molto, le maglie di possibili riabilitazioni. In gioco per il partito di Meloni ci sono questioni come l’«onore» e la «Patria». Lo scontro tra i due alleati è un anticipo di campagna elettorale. Ma la questione di cui si discute - il valore della vita umana anche in tempi di guerra – è tornata d’attualità e certo non riguarda solo il Veneto.
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