Dopo anni vissuti ai margini del dibattito pubblico e in fondo alla lista degli interessi privati dei più, il cristianesimo sembra riprendere piede all’interno delle società occidentali.
Complici di questo ritrovato interesse, oltre alla significativa apertura al Secolo (e alla sua parte più giovane) degli ultimi due occupanti del trono di Roma, sono state (purtroppo) le professioni di fede delle destre ultranazionaliste e suprematiste, con Giorgia Meloni che annovera l’appartenenza al cattolicesimo tra i criteri di attribuzione dell’identità nazionale e culturale e J.D. Vance che per legittimare le proprie politiche arriva addirittura a scomodare Agostino e Tommaso d’Aquino.
Tutto quello che sta in mezzo, dalla religiosità dei singoli, alle realtà locali, alle differenze confessionali rimane completamente tagliato fuori, schiacciato da ciò che, al contrario, fa notizia, smuove il dibattito social o dà il via a nuovi trend.
Il cristianesimo, però, travalica di molto i confini delle tribune politiche ed esonda anche rispetto alle barriere della fede; studiare la storia della religione cristiana – diceva Hegel - vuol dire capire come questo credo, raccoltosi attorno a un Fondatore carismatico, abbia dato forma all’Occidente nei secoli. Di questo, da tempo immemore, si occupano studiosi e intellettuali di tutto il mondo e di questo, da quasi vent’anni, si occupa in Italia la Consulta Universitaria per la storia del cristianesimo e delle Chiese (CUSCC) ed è anche per riaffermare l’importanza di quelli che vengono etichettati – nel migliore dei casi – quali studi marginali o inutili che la CUSCC si è riunita a Milano, dal 17 al 19 settembre scorsi, nelle aule dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
L’assemblea e il convegno annuali della Consulta sono stati ospitati dal Centro di ricerca in studi patristici Genesis della stessa Università e hanno visto susseguirsi le relazioni e le riflessioni di studiosi e accademici provenienti da tutti gli atenei d’Italia.
Lo scopo principale del raduno intellettuale lo ha spiegato già il primo giorno Marina Benedetti, ordinaria di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Milano e presidente della Consulta: bisogna dimostrare quanto i simboli cristiani siano ancora pregnanti nelle nostre società, quanto il dibattito attorno al ruolo da affidare al cristianesimo e alle Chiese sia lontano dal giungere a una conclusione, quanto ancora queste discipline abbiano qualcosa da dire.
«La CUSCC ha una missione – spiega Benedetti –: guardare al passato adottando un metodo storico-critico. Noi non facciamo catechismo, non facciamo teologia, ma studiamo documenti, fonti, fatti e cerchiamo di inserirli all’interno di un contesto storico-religioso». Ed è proprio l’idea dell’applicazione di un metodo scientifico – continua– l’aspetto più specifico di questi studi, «è l’elemento che i non addetti ai lavori non riescono del tutto a capire!», aggiunge. «Sembra sempre che il catechismo faccia parte di un bagaglio di conoscenze già da tutti acquisite – dice Benedetti –; ma l’analfabetismo religioso dimostra che questo tipo di conoscenza non è in grado di intercettare e comprendere le istanze culturali e religiose di una società sempre più frammentata, fatta di pluralismi».
Proprio la frammentazione che – loro malgrado – i governanti devono affrontare ha portato alla riapertura della complicata questione dell’insegnamento delle discipline religiose nelle scuole.
È dello scorso gennaio la notizia di una proposta di riforma promossa dal ministro Valditara per le scuole elementari e medie che prevede, tra le altre cose, l’introduzione della lettura della Bibbia già dalle scuole dell’infanzia quasi fosse un’opera letteraria fondamentale per lo studio e la comprensione delle radici storiche e culturali della società occidentale. «Rispetto alla riforma voluta da Valditara, la CUSCC si è mossa sin da subito sui punti che andavano a interessare l’insegnamento della storia con delle posizioni che il Consiglio di Stato ha pienamente acquisito; su tutte, l’idea di uno studio della storia che non sia prettamente occidentale come questi nuovi orientamenti vorrebbero», continua Benedetti. «Anche rispetto alle competenze siamo intervenuti come Consulta e come storici: se si dovesse procedere con l’integrazione dello studio della Bibbia, quali dovrebbero essere le principali competenze di un eventuale insegnante? Una domanda cui il ministro dovrà cercare di rispondere», aggiunge la studiosa.
Ma la riunione milanese si è rivelata efficace anche su altri piani, primo dei quali quello della partecipazione attiva di giovani studenti e ricercatori, strutturati e non. «Dei circa 120 membri che la CUSCC conta, la maggior parte sono giovani – spiega Benedetti –. Noi crediamo molto nella presenza dei giovani che a questo convegno, dedicato al Concilio di Nicea nei secoli, hanno potuto entrare in dialogo e confrontarsi con docenti in quiescenza. L’incontro tra il passato e il futuro della ricerca per noi è molto importante e in queste giornate è stato profondamente valorizzato».
Non va sottovalutato, infine, il tema protagonista delle giornate milanesi: il Concilio di Nicea. Parlare di Nicea – di cui ricorrono i 1700 anni – ha permesso che il dialogo non fosse solo intergenerazionale, ma che si aprisse anche all’interdisciplinarità.
«Per quanto sia un evento lontano nel tempo, quello di Nicea rimane momento fondamentale su cui ancora c’è molto da dire e che intreccia questioni storiche, filosofiche e teologiche centrali per la storia della dottrina della Chiesa», spiega Vito Limone, professore associato di Storia del cristianesimo all’Università Vita-Salute San Raffaele e segretario scientifico del centro Genesis, che ha ospitato e organizzato l’evento. «Un esempio di questa trasversalità è il documento ufficiale che ne derivò, il credo costantinopolitano», continua lo studioso. «Quella fu la prima occasione in cui il linguaggio e le categorie filosofiche entrarono a far parte del dibattito religioso. Non solo, il simbolo fu ripreso dal concilio di Costantinopoli del 381 e ancora oggi lo recitiamo nel Credo», continua Limone, e conclude: «Dal punto di vista teologico, poi, Nicea non ha perso la sua attualità: come ha ben sottolineato il documento della Commisione teologica internazione da poco pubblicato, quello niceno è un modello di sinodalità applicabile anche alla Chiesa contemporanea».
Insomma, è fuori di dubbio che il cristianesimo, con la sua storia, i suoi simboli, le sue immagini, i suoi protagonisti, abbia ancora un significato rispetto ad una contemporaneità apparentemente secolarizzata; ci si chiede quale sia lo spazio che le democrazie occidentali debbano concedergli e molto c’è da interrogarsi sul ruolo che la religione cristiana possa assumere rispetto alle politiche neoliberiste che sembrano orientare l’Occidente.
Perché questioni complesse come queste trovino risposta, lo ha sottolineanto Marina Benedetti, «è necessario un cambio di prospettiva, bisogna guardare altrove: alla storia del cristianesimo e al ruolo del cristianesimo nella storia».
In altre parole: il cristianesimo ha ancora qualcosa da dire, bisogna, però, saperlo ascoltare.