di Paolo Pagliaro
Quella israeliana è un’economia sempre più fondata sulla guerra. Tra il 2023 e il 2024 la spesa militare è cresciuta del 64%, passando da 27 a 45 miliardi di dollari. Ora rappresenta un quinto della spesa pubblica e quasi il 9% del Pil. Il peso della spesa militare è anomalo, persino nel contesto instabile del Medio Oriente: nessun altro Paese della regione registra livelli equivalenti.
Il ritorno a un’economia di guerra è reso possibile in larga parte dal sostegno commerciale e finanziario internazionale e dall’intreccio di interessi che rende Tel Aviv un nodo centrale nelle catene globali. Gli scambi non si limitano ai beni di consumo. Israele importa ed esporta tecnologie che incidono direttamente sull’innovazione e sulla competitività. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco per l’export israeliano, ma nel 2024 la Cina li ha scalzati come primo paese fornitore, e anche questo spiega la cautela con cui Pechino è intervenuta sulla questione palestinese.
Quasi tutti i Paesi – Italia compresa - mantengono relazioni economiche strette con Tel Aviv, contribuendo a consolidare un quadro in cui gli interessi commerciali e finanziari continuano a prevalere sulle considerazioni etiche e sui diritti umani.