di Paolo Pagliaro
I 16 mila licenziati della Nestlè pagano il rallentamento della crescita e la disaffezione della Borsa, i dazi di Trump e la riduzione degli utili. Ma pagano anche e forse soprattutto il crollo della reputazione aziendale. Le corrispondenze dalla Svizzera ci spiegano che l’immagine di Nestlè è stata compromessa, recentemente, dalla scoperta della liaison sentimentale tra l’amministratore delegato e una sua dipendente. Ma in realtà sono ben altri gli scandali che nel tempo hanno eroso la fedeltà al marchio.
Il primo, e più noto, fu l’accusa a Nestlé di causare la morte di molti neonati in Africa commercializzando una polvere alimentare che sostituiva il latte materno. Così quando le famiglie non avevano più soldi per il prodotto di Nestlé, i loro bambini morivano di fame. Ancor oggi UNICEF e OMS spiegano che ogni giorno migliaia di bambini potrebbero sopravvivere alle malattie e alla denutrizione, se fossero allattati al seno e non col latte in polvere.
Negli anni altri scandali riguardarono lo sfruttamento delle risorse idriche in Pakistan, con la distruzione di falde e sorgenti; il lavoro minorile nelle piantagioni di cacao in Ghana e Costa d’Avorio, gli standard nutrizionali differenziati: in Brasile e a Hong Kong prodotti privi di saccarosio "per la buona salute dei neonati", in Sud Africa latte in polvere con saccarosio.
Adesso che l’impero di Nestlè vacilla si scopre che le questioni etiche possono avere un impatto commerciale e che i consumatori più consapevoli, soprattutto i giovani, sono sempre meno disposti a chiudere un occhio.
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