Roma, 20 nov - “Purtroppo nel nostro Paese continuano le donne a essere rivittimizzate soprattutto nei procedimenti civili, lì dove la violenza non viene letta e viene derubricata a conflitto, le donne rischiano di vedersi dichiarate ‘donne alienanti’ e pertanto sottratte della loro responsabilità genitoriale, che è una forma di violenza la più atroce possibile. Abbiamo intrecciato su questo lavoro il rapporto delle Nazioni Unite della Special Rapporteur Reem Alsalem, che ripercorre a grandi linee gli stessi tratti della nostra indagine, tantissime di quelle considerazioni”. Così Valeria Valente, senatrice Pd della Commissione Femminicidio, di cui è stata presidente nella scorsa legislatura, che presso la Sala degli Atti parlamentari del Senato ha promosso il convegno “Il Rapporto Onu con Reem Alsalem sull’uso dell’alienazione parentale nei tribunali: condanna e divieto”, in occasione della Giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. “L’abbiamo anche ascoltata in Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio -aggiunge Valente - ci ha raccontato i tratti principali di questo rapporto di cui molte parti sono esattamente sovrapponibili alla nostra indagine: vogliamo provare a capire come lavorare insieme con le Nazioni Unite, come Italia, come Paese per tentare di unire le forze nella lotta a questa dinamica ancora tanto malsana nelle nostre aule di giustizia, molto spesso legata a pregiudizi e stereotipi che rischiano sostanzialmente di indirizzare magistrati, ma tutti gli operatori del sistema della giustizia, in una lettura non corretta del fenomeno della violenza e quindi dare vita a una rivittimizzazione secondaria delle donne, che rischiano così di pagare veramente un prezzo troppo alto per una violenza subita e soprattutto denunciata”.
“Ad oggi posso affermare – spiega la Special Rapporteur Reem Alsalem - di essere la relatrice che ha ricevuto il maggiore numero di input, prima di pubblicare la relazione: migliaia di e-mail, documenti, testimonianze che provenivano da madri che soffrivano queste situazioni, e in alcuni casi anche da padri. Ho pensato pertanto che fosse giusto e corretto dedicare una relazione a questo tema, perché a livello internazionale spesso non si comprende la gravità di queste situazioni, era pertanto importante portare queste all’attenzione dei singoli Paesi in modo che potessero adempiere alle loro responsabilità nei confronti delle vittime”. Il rapporto affronta il legame tra i casi di affidamento e limitazione della responsabilità genitoriale, la violenza contro le donne e la violenza contro i bambini, con un'attenzione particolare all'abuso del termine "alienazione parentale" e di pseudo-concetti simili. Non esiste, come evidenzia il rapporto, una definizione clinica o scientifica comunemente accettata di "alienazione parentale". In generale, l'alienazione parentale si riferisce ad atti deliberati o non intenzionali che causano un rifiuto ingiustificato da parte del bambino nei confronti di uno dei genitori, di solito il padre. Lo pseudo-concetto di alienazione parentale è stato coniato da Richard Gardner, uno psicologo, che ha sostenuto che i bambini che denunciano abusi sessuali durante i divorzi ad alto conflitto soffrono di una "sindrome di alienazione parentale" causata da madri che hanno indotto i loro figli a credere di essere stati abusati dai loro padri e a sollevare accuse di abuso contro di loro. Le ricerche e i contributi ricevuti dimostrano che gli autori di violenza domestica abusano dei procedimenti di diritto di famiglia per continuare a perpetrare violenza contro le loro vittime provocando una traumatizzazione secondaria. L'uso dell'alienazione parentale è altamente sessuato e frequentemente utilizzato contro le madri: quelle che si oppongono o cercano di limitare il contatto o di sollevare preoccupazioni sono ampiamente considerate dai valutatori come ostruzioniste o maligne, riflettendo il modello pervasivo di colpevolizzazione della madre. (PO / Roc) ////
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