La sicurezza non è solo un tema sociale, ma un fattore determinante per lo sviluppo economico. L’insicurezza urbana, economica e digitale negli ultimi 10 anni ha generato un costo complessivo superiore ai 25 miliardi di euro l’anno, pari a circa l’1,2% del Pil nazionale. Le imprese italiane spendono oltre 6 miliardi di euro per sistemi di sorveglianza e protezione, mentre le aree con più alta criminalità registrano investimenti privati inferiori del 14% rispetto alle zone considerate più sicure. In queste stesse aree, il costo del credito risulta fino a 0,8 punti percentuali più elevato, a causa del maggior rischio percepito da banche e assicurazioni. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui l’economia illegale e sommersa, stimata in circa 190 miliardi di euro l’anno, incide negativamente sulla concorrenza e sulla produttività, sottraendo risorse allo Stato e penalizzando le imprese regolari. Esiste una correlazione diretta tra sicurezza, occupazione e sviluppo: nelle province con minore criminalità, il tasso di occupazione è in media più alto di 6 punti percentuali rispetto a quelle a rischio. L’analisi evidenzia inoltre il peso crescente della sicurezza digitale: nel 2024 si sono registrati oltre 400mila attacchi informatici a danno di aziende italiane, per un danno economico stimato in 10 miliardi di euro. Lo studio stima che circa un esercente su due ha subito almeno un episodio di furto o danneggiamento negli ultimi tre anni, con una perdita media stimata di 5.000 euro per episodio. Nelle aree periferiche, le chiusure di attività commerciali attribuite al degrado urbano superano il 12% del totale. Nelle città con un indice di criminalità più alto del 20% rispetto alla media, gli investimenti privati risultano inferiori del 14%. È un rapporto diretto e costante: dove cresce la criminalità, diminuiscono i nuovi negozi, i cantieri e le aperture d’impresa. Le province italiane con i livelli più elevati di furti e rapine, come Milano, Roma e Napoli, registrano una densità imprenditoriale inferiore del 10% rispetto alle aree di pari dimensione con tassi di criminalità più contenuti.
L’insicurezza si traduce anche in maggiori costi di credito e assicurazione. In territori con elevato rischio percepito, le compagnie applicano premi più alti e le banche impongono garanzie aggiuntive. Secondo Banca d’Italia, la differenza media nel costo del credito per le piccole imprese tra regioni “a bassa sicurezza” (come Calabria, Campania o Puglia) e regioni “ad alta sicurezza” (Lombardia, Trentino, Emilia-Romagna) può superare lo 0,8% sui tassi applicati. Un’impresa che paga più caro il denaro riduce inevitabilmente gli investimenti e l’occupazione. Il report evidenzia che la sicurezza economica è anche legalità fiscale e trasparenza amministrativa. Le infiltrazioni criminali nel tessuto produttivo valgono, secondo le stime della Direzione nazionale antimafia, oltre 40 miliardi di euro di fatturato annuo occulto, concentrato nei settori del commercio, della logistica e dell’edilizia. L’economia sommersa, che in Italia incide per oltre il 10% del Pil (circa 190 miliardi di euro), erode le basi fiscali dello Stato e genera concorrenza sleale per le imprese oneste. Emerge anche che nelle province italiane con bassi livelli di criminalità, il tasso di occupazione medio è 6 punti percentuali più alto rispetto alle aree con elevata presenza criminale. La sicurezza, dunque, non è un costo sociale, ma una forma di capitale produttivo che genera crescita e occupazione. L’insicurezza urbana colpisce prima di tutto i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani. Un quartiere trascurato o percepito come pericoloso perde rapidamente vitalità economica. Il valore medio al metro quadro delle abitazioni in aree considerate “insicure” è inferiore del 20-25% rispetto alle zone limitrofe più presidiate e curate. Al contrario, ogni intervento di rigenerazione urbana, illuminazione, videosorveglianza o presidio di sicurezza produce un effetto moltiplicatore: un euro investito in sicurezza urbana genera fino a 3 euro di ritorno economico nel medio periodo, grazie alla riapertura di attività commerciali e all’aumento del valore immobiliare. Il turismo rappresenta un altro settore sensibile. La percezione di sicurezza incide per il 27% sulla scelta di una destinazione. Le città italiane con minore microcriminalità – come Bolzano, Trento o Trieste – registrano una permanenza media dei turisti più alta di un giorno rispetto alla media nazionale.
Nell’economia moderna, la sicurezza non è più soltanto fisica ma anche digitale. Le imprese italiane subiscono ogni anno oltre 400mila attacchi informatici, con un danno economico stimato in 10 miliardi di euro. Il 60% delle vittime è costituito da piccole e medie imprese, spesso prive di strumenti di difesa adeguati. Un ransomware o un furto di dati sensibili può bloccare la produzione o compromettere la reputazione aziendale in modo irreversibile. La sicurezza informatica, dunque, è una nuova frontiera della competitività industriale. Investire in formazione, sistemi di protezione e cooperazione pubblico-privato significa proteggere la continuità operativa delle imprese. La ricerca sottolinea anche che c’è una dimensione meno evidente, ma fondamentale: quella del lavoro sicuro e regolare. La sicurezza economica nasce anche dalla stabilità dei contratti, dal rispetto delle norme e dalla tutela del capitale umano. oltre 3 lavoratori su 10 operano in condizioni di irregolarità parziale o totale. Questo non solo penalizza le persone, ma altera la concorrenza e alimenta insicurezza sociale. L’impresa che rispetta le regole, invece, genera fiducia: tra i dipendenti, nei clienti, nelle comunità locali. È un moltiplicatore di stabilità. Lo studio evidenzia infine che le economie più competitive d’Europa – Germania, Paesi Bassi, Danimarca – sono anche quelle con i più bassi livelli di criminalità e corruzione percepita. (21 nov – red)
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