Tutto intorno c’è la Trastevere d’oggi, un pullulare di ristoranti e b&b ma basta entrare nel cortile di via Natale del Grande 27 per trovare uno spazio unico, non a caso da molti definito “magico”: l’Argot Studio, da 40 anni “casa” per antonomasia della drammaturgia nazionale grazie ad uno più longevi centri di produzione del settore (con una lista impressionante di registi, da Filippo Gili a Roberto Latini, da Ruggero Cappuccio ad Antonio Latella, da Scimone&Sframeli a Giuseppe Manfridi, a Sergio Pierattini, solo per citarne alcuni) ma anche vivaio di una intera generazione di interpreti ed autori del cinema italiano degli anni ’80-‘90. Di qui sono passati, infatti, i Gassman e Tognazzi figli, Luca Zingaretti, Valerio Mastandrea, Kim Rossi Stuart, Marco Giallini, Angelo Longoni, Umberto Marino, Angelo Orlando, Fabrizio Bentivoglio, Sergio Rubini, Margherita Buy, Edoardo Leo. Tutti protagonisti di spettacoli che, prodotti proprio dall’Argot studio, sono poi migrati nella settima arte. “Renato Scarpa (il Robertino di Ricomincio da Tre, ndr), diceva che per assistere al ‘cinema vivo’ doveva venire all’Argot Studio dove, la grande vicinanza tra pubblico ed attori, permette di vedere la goccia di sudore cadere, la lacrima scendere… E’ come si assistesse ad una scena di una recitazione cinematografica. E’ questa la forza unica di questo spazio di ricerca ed impegno civile che da 41 anni mantiene questa dimensione di ‘casa” per le arti, in cui si uniscono teatro, cinema e formazione. Un luogo che mi dà continue energie e soddisfazione ed alimenta l’entusiasmo necessario per mandare avanti una impresa del genere” spiega Francesco Frangipane, dal 2015 presidente di Argot Produzioni (in prolifico sodalizio con Pierfrancesco Pisani di Infinito Teatro, realtà che “ci ha permesso di resistere all’urto del Covid e di mantenere vivo questo teatro come centro di produzione” spiega) e dal 2008 direttore artistico del teatro trasteverino insieme a Tiziano Panici, figlio del fondatore Maurizio (colui che ebbe la grande intuizione di fare di questo teatro una “casa” per giovani artisti ed “consorzio di creatività”, “tra fabbrica e palestra” per citare Rodolfo di Giammarco).
Francesco Frangipane è un regista che si muove proprio tra il mondo teatrale e quello cinematografico in modo profondamente osmotico (è, tra l’altro, uno stresso collaboratore dei film di Marco Risi ed in questi giorni porta in scena “Piccola renna”, la versione italiana del monologo “Baby Reindeer” da cui è nata una acclamata serie Netflix). E, proprio su queste due anime, ha apertamente scommesso per l’attuale stagione dell’Argot Studio che porta il significativo titolo “Un nuovo inizio”, accompagnata visivamente dal giallo triangolo, storico logo “argottiano”, ma che per la prima volta si apre in un cerchio. A significare uno sguardo che si apre a nuovi linguaggi e sperimentazioni ma che rimane ancorato al suo nome di origine, Argot: uno slang contaminante e sovversivo ma anche l’acronimo di arte gotica, di uno slancio creativo capace di proiettare carne e spirito verso l’alto. D’altronde, l’Argot delle origini si chiamava “Il Cielo”. Era una delle storiche “cantine” teatrali romane degli anni ’60-‘70. Oggi, come allora, è ancora una sala dalle pareti nere, con accesso dal cortile interno di un palazzo, che taglia in alto uno spicchio di cielo. A pochi passi, in piazza San Cosimato 23, nel 1961 venne aperta la prima di quelle cantine: il Teatro Laboratorio di Carmelo Bene. Poi, per un ventennio, in tutto il centro della città, ne nacquero a decine, rigorosamente austere e carbonare. A Trastevere i più famosi di questi palcoscenici trasgressivi si chiamavano Leopardo, La Fede, Intrastevere, Cedro, Alla Ringhiera, Metateatro, La Comunità (che dal 1972, in via Zanazzo, vive ancora della militanza teatrale del suo fondatore, Giancarlo Sepe).
Un diffuso vivaio in cui sperimentare un teatro di rottura che portò a rinnovare linguaggi e pubblico e che permise di portare questa sperimentazione nei teatri “riconosciuti” con registi come Barberio Corsetti, Antonio Calenda, Mario Missiroli, Giancarlo Cobelli, Aldo Trionfo, Luigi Squarzina, Roberto Guicciardini (che nel 1969 fondò il Gruppo della Rocca, una delle prime cooperative teatrali). Proprio degli spettacoli di quest’ultimo, come anche di Mariano Rigillo, Frangipane - poco più che ventenne - diventa attore ed aiuto regista ad inizi anni Duemila, appena diplomato attore e regista all’Accademia d’Arte Drammatica della Calabria (quando a Palmi, Luciano Lucignani, collaboratore di Vittorio Gassman, provò a mantenere vivo per una manciata di anni lo spirito della sua naufragata Bottega Teatrale). Al giovane Frangipane, Rigillo finisce per affidare ben presto la gestione dell’intera compagnia. “Lavoravo duro, facevo tutto, l’attore, l’aiuto regia, l’amministratore. Non mi tiravo indietro perché questo è stato il mio mondo fin da bambino. Ho avuto infatti la fortuna di crescere, a Soverato, nella compagnia amatoriale del Grillo, oggi teatro del Grillo (una istituzione del teatro calabrese, ndr), con mio zio regista, mio padre primo attore e mia madre costumista e fonico. Poi sono arrivato al mio primo spettacolo all’Argot Studio che, grazie a Maurizio Panici, ed è diventata letteralmente la mia casa. Qui ho potuto sperimentare le mie regie, come accaduto ad una intera generazione di registi e autori”. Spettacolo dopo spettacolo Frangipane va affinando il suo stile registico intimo, naturalistico, umanissimo (ha tra l’altro diretto un coraggioso documentario sul sentimento amoroso vissuto in dei centri anziani) che non esita a trasportare fisicamente il pubblico al centro della scena, in stretta connessione con la natura cinematografica dell’Argot Studio. “Occuparsi del contemporaneo, di un teatro del tempo presente, significa conoscere in profondità il nostro essere uomini di questo tempo, capirne i conflitti, riflettere sulle tensioni espresse sulla società, porsi domande”. La frase che campeggia nel profilo social del teatro romano è un ideale manifesto della regia di Frangipane che trova non a caso sua matura espressione nei testi del drammaturgo Filippo Gili. Da “Prima di andar via” del 2011 (che Michele Placido fa diventare un film nel 2013) alla “Trilogia di Mezzanotte” tra il 2015 ed il 2016 (il cui secondo capitolo, “Dall’alto di una fredda torre” è diventato un film diretto dallo stesso Frangipane). Profondi e conturbanti scavi nelle emozioni umane, un groviglio di relazioni che si intreccia intorno ad un tavolo di famiglia e finisce per affondare nel più nero dei tabù, quello della morte. Con – sia in scena che nella versione del grande schermo – due delle colonne attoriali del teatro trasteverino, Vanessa Scalera e Giorgio Colangeli, che si aggiungono al lunghissimo elenco di attori di razza che popolano oggi gli spettacoli di Argot Produzioni: da Tommaso Ragno a Elio Germano, da Ottavia Piccolo a Michele Riondino, da Filippo Timi ad Anna Bonaiuto, da Valerio Aprea a Caterina Guzzanti, da Stefano Fresi a Isabella Ragonese, solo per citarne alcuni. Proprio Vanessa Scalera, ad aprile, torna interprete di un testo di Filippo Gili, “La sorella migliore”, sempre con la regia di Frangipane, prodotto da Argot Produzioni e Infinito Teatro. “Sarà in scena al Teatro Vascello, dove vado spessissimo a vedere spettacoli bellissimi e per questo Monteverde Vecchio è un quartiere che frequento moltissimo, anche perché ci vivono veramente tanti amici e colleghi. Da oltre 20 anni vivo a Campo dei fiori e tutte le mattine attraverso Ponte Sisto e cammino per i vicoli di Trastevere fino a Piazza San Cosimato. Quella che si può considerare un po’ il substrato di Monteverde Vecchio, le fondamenta sulle quali esso si erge. Un quartiere meravigliosamente elegante ma al tempo stesso popolare, che risuona ancora dell’eco e delle voci di Trastevere ma assumendo nuove forme. Insomma un quartiere dove un giorno se ci fosse la possibilità mi trasferirei di corsa”.
Un piccolo grande spazio quindi, l’Argot Studio, dove lo scorso anno si è potuto assistere alla prima regia teatrale di Luca Guadagnino, con il suo “Stabat Mater”, con Fabrizia Sacchi. O, in questa stagione, al testo di un altro grande nome del cinema, Paolo Sorrentino, con il suo Tony Pagoda, già incarnato da Toni Servillo nel film L’uomo in più e ora interpretato da Iaia Forte. “Sono molti gli esempi di passaggio tra teatro e cinema dei nostri titoli – sottolinea Frangipane -. Infatti nella mostra con cui lo scorso anno abbiamo celebrato i 40 anni di Argot Studio ne abbiamo ricordati alcuni, come Italia-Germania 4 a 3 con Sergio Rubini e Margherita Buy, Uomini senza donne con Alessandro Gassmann e Gianmarco Tognazzi ed appunto il mio Prima di andar via (e va ricordato anche “Barbara” di Angelo Orlando con Valerio Mastandrea e Marco Giallini, ndr). Poi, in questa stagione, abbiamo dedicato anche un omaggio al cinema della drammaturga Eleonora Danco. Inoltre il mio personale legame con il cinema mi ha spinto a proporre in questa stagione un nostro cineclub, CinemArgot, per creare una forma di partecipazione diretta con il pubblico, grazie alla presenza degli autori in sala. Il famoso ‘dibattito’ di una volta torna così ad essere uno spazio di condivisione di esperienze culturali, con la conoscenza diretta degli artisti. Proponiamo un documentario al mese, sulle figure di grandi attori, che è iniziato con il mio “Luci dell’avanspettacolo” e che prosegue con quelli di Sonia Bergamasco (su Eleonora Duse), Mario Martone (su Massimo Troisi), Edoardo Leo (su Gigi Proietti) e Francesco Zippel (su Gian Maria Volontè). Nel vicino Spazio Scena abbiamo poi presentato dei documentari dalla forte valenza sociale (con il bel titolo “Effetti collaterali - Storie da prendere a grandi dosi”, ndr) coinvolgendo gli studenti di Officine Pasolini e dell’Istituto Rossellini. E’ stato molto bello vedere questi ragazzi giovanissimi coinvolti in dibattiti molto partecipati…”.
D’altronde l’Argot Studio lavora attivamente per la creazione di un pubblico nuovo, che torni a vivere il teatro come autentico rito. “La questione di fondo è quella di usare il linguaggio che usano i giovani, sperimentare le nuove tecnologie per nuove forme di fruizione. Lo abbiamo fatto producendo “Segnale d’allarme – La mia battaglia VR” di Elio Germano, uno dei primi esperimenti mondiali di teatro in realtà virtuale e torniamo a farlo in questa stagione con Il cielo in una stanza di Fabio Morgan. I visori che indossano gli spettatori non isolano ma trasportano in una nuova dimensione comunitaria. Perché, se è vero che quando indossi questi occhiali entri in una dimensione virtuale e privata, è pur vero che stai vivendo questo atto attorniato da altre persone e sei dovuto uscire di casa per farlo”. In questa stagione teatrale, a dare voce e spazio ai giovani creativi, torna poi “OVER/Emergenze Teatrali”, una rassegna/showcase a cura di Argot Produzioni, in networking con Nest Napoli est Teatro, FTT – Fertili Terreni Teatro e PimOff (in cui quattro compagnie emergenti presentano il loro lavoro – di cui ne sarà scelto uno poi accompagnato nella produzione) e la rassegna teatrale under 35 “Green Days” a cura di Dominio Pubblico, il meritorio progetto ideato e diretto da Tiziano Panici che coinvolge i giovani in maniera attiva in tutta la produzione teatrale e che, per ogni spettacolo, prevede repliche e un talk di approfondimento per stimolare il dialogo creativo. “Non una semplice stagione teatrale, ma un progetto artistico che guarda al futuro senza dimenticare le proprie radici” si legge nella presentazione del cartellone di questo 41mo anno dell’Argot Studio. Un cartellone che riflette questa filosofia attraverso una programmazione che intreccia tradizione e sperimentazione, offrendo al pubblico un percorso artistico capace di coniugare ricerca estetica e impegno sociale: dall’evento apertura di Lino Musella con Stato d’assedio del poeta palestinese Mahmud Darwish al ritorno di grandi interpreti come Filippo Timi, Michele Sinisi, Iaia Forte, Marco Sgrosso e Roberto Latini, ai debutti di Francesco Mandelli e Filippo Gili, passando per i progetti corali di Teatrodilina e Biancofango. E quindi Frangipane non ha dubbi nell’indicare il futuro del teatro in opere di prosa in grado di indagare ed interpretare le urgenze del presente. Creando quella sintesi tra “teatro di parola” pasoliniano e “teatro del gesto e dell’urlo” (definizione con cui lo stesso Pasolini mise nel mirino Carmelo Bene) e la cui antitesi creò, mezzo secolo fa, una polemica divisione tra tradizione e progresso. D’altronde oggi non c’è più una borghesia da scandalizzare – come analizzava all’epoca il poeta - ma piuttosto una società da reinventare. (21 nov - red)
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