Nel mondo, secondo l’Oms, tra l’8% e il 38% dei professionisti sanitari subisce almeno un episodio di violenza fisica durante la carriera. La European Federation of Nurses Associations (EFN) stima che gli infermieri corrano un rischio fino a 16 volte superiore rispetto ad altri lavoratori, con un incremento costante negli ultimi cinque anni. In media, in Europa un infermiere su cinque riferisce di essere stato vittima di aggressioni fisiche o verbali negli ultimi dodici mesi, con i picchi più alti registrati in Italia, Regno Unito e Francia. Oltreoceano, negli Stati Uniti quasi la metà di tutti gli episodi di violenza sul lavoro avviene nel settore sanitario, mentre in Canada nove infermieri su dieci dichiarano di aver subito minacce o insulti nel corso dell’ultimo anno. “Un trend globale – denuncia il sindacato Nursing Up -c he, purtroppo, in Italia, assume le dimensioni di una vera emergenza nazionale. Con oltre 125mila aggressioni l’anno, tra episodi denunciati (circa 5mila) e una stima di oltre 120mila casi sommersi, l’Italia risulta tra i Paesi europei con la più alta incidenza di violenze contro gli infermieri in rapporto al numero di professionisti. Su una forza lavoro di circa 460mila infermieri, significa che un professionista su quattro subisce almeno un episodio di violenza fisica o verbale ogni anno. Nessun altro sistema sanitario europeo presenta un’incidenza tanto elevata. I numeri degli altri Paesi sono più elevati, ma è anche la popolazione infermieristica che è superiore. Perciò la nostra media è tra le peggiori in assoluto”. Dietro i numeri ufficiali si nasconde una realtà ancora più ampia e preoccupante. In Europa, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Federazione Europea degli Infermieri (EFN), solo un terzo delle aggressioni viene effettivamente denunciato. Ciò significa che tra il 60% e il 70% dei casi resta sommerso, non registrato nei dati ministeriali né nei sistemi ospedalieri. Le cause sono molteplici: paura di ripercussioni, sfiducia nella tutela legale, assenza di protocolli uniformi di segnalazione e il peso psicologico di rivivere episodi traumatici. Nei Paesi del Nord Europa la quota di sommerso si aggira tra il 40% e il 50%, mentre nell’Europa continentale (Francia, Germania, Belgio) sale intorno al 60–70%. Nei Paesi mediterranei – Italia, Spagna, Grecia – può raggiungere punte superiori all’80–90%, a causa della minore propensione alla denuncia e della mancanza di tutele effettive sul posto di lavoro. È su questo divario tra casi ufficiali e reali che si basa la nostra analisi comparativa internazionale: abbiamo rapportato il numero di aggressioni denunciate al totale degli infermieri attivi in ciascun Paese e applicato, secondo le evidenze OMS ed EFN, un coefficiente di sommerso calibrato per area geografica (più basso nei Paesi nordici e anglosassoni, più elevato in quelli mediterranei). Così, le circa 5 mila segnalazioni annue in Italia si traducono, una volta considerato il sommerso, in oltre 120 mila aggressioni reali. L’incidenza effettiva, pari al 27–28% del personale infermieristico, è quindi la più alta d’Europa e tra le più elevate al mondo. Un dato che fotografa un sistema sanitario in cui chi cura è sempre più spesso vittima di violenza, verbale o fisica, e in cui la sicurezza del lavoro resta affidata quasi solo alla buona volontà degli operatori. “Siamo davvero al limite – denuncia Antonio De Palma, presidente del Nursing Up –. I pronto soccorso italiani sono diventati trincee. I governi di ogni colore hanno ignorato il problema o si sono limitati a leggi spot. Senza più personale, senza filtri territoriali, la rabbia dei cittadini esplode sui nostri operatori. Ogni aggressione è un segnale d’allarme: quando si colpisce un infermiere, si ferisce la sanità pubblica intera”. Le leggi varate dopo gli episodi più gravi hanno introdotto aggravanti penali e sperimentato le bodycam negli ospedali, ma gli infermieri restano abbandonati a se stessi, spesso costretti a lavorare senza vigilanza fissa e senza protocolli operativi uniformi. Il risultato è un sistema che ha spostato l’attenzione dal problema reale — la mancanza di personale, la tensione dei reparti e l’assenza di filtri territoriali — a soluzioni simboliche. In molti pronto soccorso si è arrivati a armi nelle corsie, vetrate antiproiettile e minacce di morte contro gli operatori. Un’emergenza che richiede una risposta strutturale e non più propagandistica. Negli ultimi dieci anni, la politica ha affrontato il tema solo con interventi emergenziali: inasprimento delle pene, protocolli mai attuati, campagne sporadiche. Ma la radice del problema è rimasta intatta: carenza di organici, turni massacranti, carichi di lavoro esplosivi e un sistema territoriale collassato. “Non bastano le leggi simboliche – ribadisce De Palma –. Servono misure vere di prevenzione e sicurezza. Gli infermieri non chiedono protezione speciale, chiedono rispetto e condizioni di lavoro dignitose”. Il sindacato chiede un registro nazionale obbligatorio delle aggressioni, con analisi per reparto; presidi di sicurezza permanenti nei pronto soccorso; formazione obbligatoria per il personale su tecniche di de-escalation; una campagna pubblica per il rispetto verso chi cura; un piano straordinario per almeno 65mila nuove assunzioni (a fronte di una carenza di 175mila infermieri in base agli standard europei); premi di ingaggio, per favorire l'inversione del fenomeno delle migrazioni professionali verso l'estero, e per sollecitare gli infermieri italiani espatriati a tornare a casa loro. (22 nov - red)
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