Le sfide sociali e sanitarie legate alle migrazioni e il ruolo delle istituzioni cattoliche nell’accoglienza sono state al centro dell’intervento del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, durante il convegno “Portatori di Speranza. Pellegrini, migranti e Ordine di Malta. Dall’assistenza ai pellegrini giubilari alle sfide sanitarie delle migrazioni moderne”, organizzato dall’Università LUMSA e dall’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria – Sovrano Militare Ordine di Malta, svoltosi ieri presso l’ateneo romano. Zuppi ha ricordato come la dottrina sociale della Chiesa, spesso percepita come “qualcosa di un po’ vecchio”, sia invece “una cosa straordinaria, che ha molto da dire e di cui preoccuparci se non viene presa sul serio o viene smentita dalle scelte”. Una dottrina che invita all’accoglienza: “Si aprono le porte a chi bussa”, ha affermato, esortando a non temere le sfide, che “non vanno amplificate per scappare o per alzare muri: vanno affrontate per risolverle”. Richiamando il titolo del convegno, il cardinale ha ribadito che i migranti sono “portatori di speranza”, una definizione che contrasta con la percezione spesso negativa che li accompagna: “Molte volte sono visti piuttosto come portatori di problemi, o addirittura come nemici, come pericolo. In realtà sono portatori di speranza: perché ce l’hanno”. “Perché altrimenti non affronterebbero difficoltà incredibili”, ha aggiunto, avvertendo che mettere in discussione l’aiuto umanitario “è molto preoccupante. L’umanitario vuol dire salvare la vita; vuol dire dare accoglienza minima, e soprattutto salvare la vita”. Sul versante sanitario, Zuppi ha richiamato le indicazioni dell’OMS, che sottolineano i rischi per la collettività derivanti dall’emarginazione sanitaria delle comunità vulnerabili e i benefici dell’inclusione: “Si fa riferimento al diritto universale alla salute, quindi a motivazioni di natura etica e giuridica”. Da qui, la centralità del Servizio sanitario nazionale, “di ispirazione universalistica”, nel garantire l’accesso alle cure. Affrontando i dati sulle migrazioni, il presidente della CEI ha ricordato che nell’aprile 2025, secondo il rapporto dell’UNHCR, le persone in fuga hanno superato i 123 milioni, almeno 6 milioni in più rispetto all’anno precedente. Tra queste, il 40% è costituito da minori: quasi 50 milioni, più che raddoppiati in dieci anni. Un numero di rifugiati e profughi che, da tredici anni, è in costante crescita. Medio Oriente e Nord Africa restano le aree più colpite dai conflitti, con Gaza che rappresenta il punto di maggiore criticità per la pace e la sicurezza globale. Sudan, Gaza, Myanmar e Repubblica Democratica del Congo figurano tra i contesti più drammatici, aggravati anche dagli effetti delle crisi climatiche che coinvolgono 25 milioni di persone. “Essere in fuga vuol dire non avere nulla. Vuol dire morire per nulla”, ha affermato citando la testimonianza del cardinale Pizzaballa a Gaza. Zuppi ha ricordato anche il lavoro svolto da Caritas, Migrantes e dagli ordini ospedalieri attraverso ambulatori per migranti, assistenza ai malati e rimpatrio delle salme. “L’irregolarità favorisce purtroppo che queste malattie non vengano intercettate”, ha avvertito, sottolineando l’importanza di “sconfiggere l’illegalità con la legalità”. La Chiesa, ha aggiunto, investe inoltre nell’aiuto ai Paesi d’origine: “L’otto per mille serve a finanziare 4.873 progetti di sviluppo in 111 Paesi, per 850 milioni di euro”. Tra questi, anche un finanziamento già disposto per un ospedale e un poliambulatorio a Gaza. “La sfida sanitaria delle migrazioni moderne”, ha concluso, va affrontata “con maturità, con consapevolezza, sfuggendo alla globalizzazione dell’impotenza” e mantenendo vivo il principio secondo cui “quella persona, quell’uomo, non è un numero ma è una persona”. L’accoglienza e la cura, ha affermato, “sono il primo modo perché la sua speranza non vada persa. E anche, forse, per ritrovare la nostra”. (27 NOV)
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