di Paolo Pagliaro
Ieri Donald Trump ha definito spazzatura i somali, e noi potremmo fingere di non aver sentito, che è diventata ormai la reazione salvavita più diffusa quando il presidente esonda.
Ma in questo caso fingere è difficile perché l’Italia ha con la Somalia un legame particolare, una consuetudine e una simbiosi antiche, responsabilità recenti. I primi rapporti risalgono alle rotte commerciali mediterranee e indo-arabiche frequentate già in epoca romana e poi percorse dai mercanti medievali.
Le reponsabilità recenti riguardano il colonialismo, oggi rivisitato in termini spesso edulcorati e sostanzialmente positivi. Mentre si trattò di un’occupazione spesso spietata, che creò le basi per la debolezza endemica di un paese che ora occupa quasi sempre l’ultima posizione per quanto riguarda tutti gli indicatori sociali, economici e politici. Mortalità infantile e neonatale, aspettative di vita, alfabetizzazione, sviluppo umano, reddito pro capite, terrorismo, criminalità, corruzione e molto altro fanno della Somalia lo stato più fragile del mondo.
Questo tracollo si avvale di numerosi contributi esterni. Vanno citati lo scarico di rifiuti tossici, i traffici illeciti, lo sfruttamento di risorse naturali, il tutto per iniziativa di società straniere, prevalentemente occidentali. Vanno citati anche gli aiuti militari a regimi come quello di Siad Barre o, in tempi più recenti, ai signori della guerra che con le loro brutalità finanziate in dollari hanno spinto milioni di persone nella braccia delle milizie islamiche. Se di spazzatura si tratta, molta in Somalia l’abbiano lasciata noi.




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