Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

AUMENTANO I RISPARMI
DELLE NOSTRE FAMIGLIE

AUMENTANO I RISPARMI <br> DELLE NOSTRE FAMIGLIE

Tornano a crescere le riserve finanziarie detenute da famiglie e imprese italiane. Tra ottobre 2024 e ottobre 2025 la liquidità complessiva è salita da 1.988,6 a 2.046,5 miliardi di euro, con un incremento di 57,9 miliardi (+2,9%). Il recupero è trainato soprattutto dai conti correnti, risaliti di 60 miliardi (+4,5%) nell’ultimo anno, e dai pronti contro termine, aumentati di 14,6 miliardi (+16%). In crescita anche i depositi rimborsabili con preavviso (+5,6 miliardi, +1,8%), mentre calano i depositi vincolati, scesi di 22,3 miliardi (-8,6%). È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui nel medio periodo, il bilancio resta influenzato dalla fiammata dei prezzi che ha colpito l’Italia tra il 2022 e il 2023. Nel triennio dicembre 2022 – ottobre 2025 la liquidità totale è diminuita di 19 miliardi (-0,9%), soprattutto a causa del forte arretramento dei conti correnti, scesi di 78,4 miliardi (-5,4%). Una contrazione attribuibile in buona parte all’inflazione, che nei mesi più critici ha superato il 10%, costringendo famiglie e imprese ad attingere ai risparmi per fronteggiare il rialzo dei prezzi di energia, beni alimentari, servizi e tassi sui mutui. Le famiglie risultano infatti il soggetto più colpito: le loro riserve sono diminuite di 31,9 miliardi (-2,7%) rispetto al 2022, mentre quelle delle imprese mostrano un leggero incremento (+11 miliardi per le aziende, +2,4 miliardi per le imprese familiari). Crescono le disponibilità degli enti previdenziali (+29,5%) e delle onlus (+10,9%), mentre calano fondi d’investimento (-3,2%), assicurazioni (-4,2%) e fondi pensione (-10,3%). A ottobre 2025, la liquidità resta concentrata per il 67,4% sui conti correnti (1.379,7 miliardi), mentre i depositi con preavviso rappresentano il 15,8% (323,2 miliardi), i depositi vincolati l’11,6% (237,5 miliardi) e i pronti contro termine il 5,2% (106 miliardi). Un quadro che conferma la preferenza degli italiani per strumenti immediatamente disponibili, ma anche una graduale ricalibrazione verso forme più remunerative dopo la fase più acuta della crisi inflazionistica.

 

«I dati sulla liquidità vanno letti come un segnale politico ed economico preciso: la fiducia sta tornando e non è un fatto casuale. Dopo anni segnati da shock esterni – pandemia, guerra, crisi energetica e un’inflazione che ha superato il 10% – famiglie e imprese hanno utilizzato le proprie riserve come ammortizzatore naturale, evitando una frattura sociale più profonda. Oggi, il fatto che la liquidità complessiva torni a crescere indica che quella fase difensiva si sta chiudendo. La ripresa dei conti correnti e la ricalibratura degli strumenti di deposito raccontano che il Paese percepisce un quadro di maggiore stabilità, frutto di scelte del governo guidato da Giorgia Meloni che hanno tenuto insieme rigore e sostegno. La tenuta dei conti pubblici, la riduzione dello spread, il controllo dell’inflazione e una linea di politica economica improntata alla prudenza hanno contribuito a creare un contesto nel quale famiglie e imprese smettono di consumare risparmio per necessità e tornano ad accumulare per scelta. La liquidità, in questo senso, non è solo una fotografia contabile: è un asset strategico nazionale. In Italia rappresenta una riserva di resilienza che consente di assorbire gli shock senza dover ricorrere a interventi emergenziali continui. È ciò che ha permesso a molte imprese di restare in piedi durante la fase più acuta della crisi dei prezzi e a molte famiglie di difendere il proprio tenore di vita. Il compito della politica, ora, è duplice. Da un lato non disperdere questa fiducia, garantendo continuità, stabilità normativa e una visione chiara di medio periodo. Dall’altro, creare le condizioni affinché questa liquidità possa progressivamente trasformarsi in investimenti produttivi, senza forzature e senza mettere a rischio la sicurezza finanziaria dei cittadini. Se la fiducia viene preservata, la liquidità resta un ammortizzatore nei momenti difficili; se viene valorizzata con politiche credibili, può diventare il carburante della crescita. È su questo equilibrio che si misura oggi la responsabilità di chi governa» commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. 


Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, nel corso dell’ultimo anno, tra ottobre 2024 e ottobre 2025, la liquidità complessiva detenuta da famiglie, imprese e altri operatori economici in Italia è tornata a crescere in misura significativa, passando da 1.988,6 miliardi a 2.046,5 miliardi di euro, con un aumento di 57,9 miliardi, pari al 2,9%. Ma questo incremento non è uniforme: deriva da un profondo ribilanciamento interno tra le varie componenti della liquidità. Il movimento più importante è quello dei conti correnti, che risalgono da 1.319,7 miliardi a 1.379,7 miliardi, con un recupero di 60 miliardi (+4,5%). È un’inversione rispetto alla tendenza precedente e segnala che famiglie e imprese hanno smesso di erodere i depositi a vista, tornando ad accumulare risorse disponibili immediatamente. Crescono poi i pronti contro termine, che passano da 91,4 a 106,0 miliardi, con un aumento di 14,6 miliardi (+16%), confermando il ritorno di strumenti di tesoreria a breve termine utilizzati soprattutto dalle imprese. Anche i depositi rimborsabili con preavviso crescono, da 317,6 a 323,2 miliardi (+5,6 miliardi, +1,8%), segnalando una dinamica moderata ma costante. L’unica voce a diminuire nell’ultimo anno è quella dei depositi con durata prestabilita, che scendono da 259,8 a 237,5 miliardi (–22,3 miliardi, –8,6%), riflesso del minor interesse per i vincoli bancari in una fase di riduzione dei tassi offerti dagli istituti di credito.

 

Per comprendere appieno questo quadro, però, occorre osservare l’intero periodo che va da dicembre 2022 a ottobre 2025. Nel triennio la liquidità totale passa da 2.065,5 a 2.046,5 miliardi, con una diminuzione complessiva di 19 miliardi (–0,9%). È una riduzione relativamente contenuta, ma che assume un significato particolare se letta alla luce del contesto economico di quegli anni. Tra il 2022 e il 2023, infatti, l’Italia – come l’intera area euro – ha attraversato la più intensa fiammata inflazionistica degli ultimi quarant’anni, con un incremento dei prezzi che ha superato in alcuni mesi la soglia del 10%. Si tratta di un aumento eccezionale del costo della vita ha obbligato famiglie e imprese ad attingere in modo massiccio alle riserve in banca: i redditi disponibili non riuscivano a coprire l’aumento dei prezzi energetici, dei beni alimentari, dei servizi e dei tassi di interesse, e il patrimonio liquido ha svolto una funzione di ammortizzatore.

 

L’impatto dell’inflazione si vede in modo molto chiaro nei conti correnti. Nel triennio essi calano sensibilmente, passando da 1.458,2 miliardi del 2022 a 1.379,7 miliardi del 2025, con una diminuzione di 78,4 miliardi (–5,4%). Questo è l’effetto diretto della pressione inflazionistica: i conti correnti sono la prima risorsa cui famiglie e imprese ricorrono per far fronte alle spese in aumento. Parallelamente, nel 2022-2023, con i tassi ai massimi, molti risparmiatori avevano vincolato una parte dei propri risparmi in prodotti a rendimento fisso: questo spiega perché nel triennio i depositi con durata prestabilita crescono complessivamente da 199,4 a 237,5 miliardi (+38 miliardi, +19,1%). Lo stesso vale per i pronti contro termine, aumentati da 88,4 a 106 miliardi (+17,6 miliardi, +19,9%), strumenti usati spesso dalle imprese per ottenere rendimenti di breve periodo superiori ai depositi tradizionali. I depositi rimborsabili con preavviso mostrano una crescita più lieve, da 319,4 a 323,2 miliardi (+3,7 miliardi, +1,2%), coerente con il loro ruolo intermedio tra liquidità immediata e risparmio vincolato. La stessa dinamica si ritrova nella distribuzione delle riserve tra i diversi soggetti economici. Le aziende aumentano la propria liquidità da 424 a 435 miliardi (+11 miliardi, +2,6%), così come le imprese familiari, che passano da 85,8 a 88,2 miliardi (+2,4 miliardi, +2,8%). Le famiglie, invece, registrano un calo molto significativo: da 1.174,3 miliardi del 2022 scendono a 1.142,5 miliardi del 2025, con una diminuzione di 31,9 miliardi (–2,7%). Sono proprio loro ad aver assorbito la parte più dolorosa dell’impatto inflattivo: per più di un anno i risparmi depositati sono stati utilizzati per fronteggiare l’aumento dei costi di energia, alimenti, affitti e mutui. Le ONLUS crescono da 34,4 a 38,2 miliardi (+10,9%), mentre i fondi d’investimento calano da 300,5 a 290,9 miliardi (–9,6 miliardi, –3,2%), riflettendo anche l’instabilità dei mercati finanziari. Gli enti di previdenza segnano invece un incremento molto marcato, da 22,8 a 29,6 miliardi (+6,7 miliardi, +29,5%), mentre assicurazioni e fondi pensione registrano lievi contrazioni complessive.

 

NEI CONTI CORRENTI QUASI 1.400 MILIARDI, IL 67% DEL TOTALE DELLA LIQUIDITÀ

La fotografia più attuale, relativa a ottobre 2025, mostra come si distribuisce oggi la liquidità complessiva di 2.046,5 miliardi di euro. La quota dominante è ancora rappresentata dai conti correnti, che valgono 1.379,7 miliardi e costituiscono il 67,4% del totale: una conferma della forte preferenza degli italiani per la liquidità immediata. Seguono i depositi rimborsabili con preavviso, pari a 323,2 miliardi e al 15,8% della liquidità complessiva. I depositi a durata prestabilita ammontano a 237,5 miliardi, ossia l’11,6% del totale, mentre i pronti contro termine raggiungono i 106 miliardi, pari al 5,2%. Questa composizione finale mette in luce un sistema che mantiene un’enorme quantità di risorse liquide, ma che negli ultimi anni ne ha modificato in profondità la struttura interna, passando dal ricorso forzato ai risparmi per compensare l’inflazione a una fase più recente in cui famiglie e imprese ricominciano ad accumulare liquidità e a scegliere strumenti più remunerativi. 

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