di Paolo Pagliaro
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede pochi grandi interventi, 18 miliardi per le misure di transizione digitale, altri 18 per Ecobonus e misure antisismiche. Per il resto è un programma molto frammentato, con 162 diversi investimenti di cui 107 sotto il miliardo di euro. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, nel bilancio dello Stato ci sarà un sensibile aumento delle spese per il personale, con assunzioni che avranno carattere permanente.
Saranno soldi ben spesi se avremo una pubblica amministrazione più giovane e più efficiente. In caso contrario avrà ragione quel 75% di italiani convinti che con il Recovery Plan aumenterà il potere e l’arbitrio delle burocrazie. Interpellati dal Censis, due terzi degli intervistati dicono di temere che troppe leggi e regolamenti possano rallentare l’impiego delle risorse, il 65% pensa che non ci siano garanzie sul fatto che quelli approvati siano i progetti migliori, una percentuale analoga teme che gli investimenti vengano dirottati su questioni non prioritarie, con una scarsa ricaduta sulle economie locali e sulla qualità della vita dei cittadini. Il timore più diffuso, condiviso dall’80% degli italiani, è che vincano le pressioni delle lobby, e dunque gli interessi particolari, con investimenti a vantaggio di pochi e non a favore di tutti.
Questo diffuso scetticismo sembra essere l’umore dominante. Secondo Eurobarometro, l’Italia è l’unico paese, con Cipro e Romania, in cui la maggioranza dei giovani pensa che l’appartenenza all’Unione sia un fatto negativo. L’arrivo del Recovery Plan – che ha premiato l’Italia più di tutti gli altri - non ha modificato questo giudizio, frutto anche di una propaganda sovranista che dura da anni. Quella per cui oggi Giorgia Meloni, nel suo libro, arriva a definire “collaborazionisti” i politici italiani che hanno negoziato con Bruxelles un accordo molto vantaggioso per i loro concittadini.
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