di Paolo Pagliaro
Il 31 dicembre, quando si faranno i conti, si scoprirà che quest’anno a Google, Facebook e Amazon è andata la metà di tutta la pubblicità mondiale, cioè la metà di circa 760 miliardi di dollari. Ciò che resta è servito a tenere in vita televisioni, giornali e radio. Per quanto atteso, questo sorpasso segna una svolta epocale, che mette seriamente a rischio l’industria dell’’informazione così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Il Sole 24 Ore, che sabato ha dato la notizia, osserva che i media "tradizionali" stanno combattendo con le unghie e con i denti una battaglia che nessuno si sognerebbe di non definire impari. La pervasività di internet, l’utilizzo commerciale dei dati personali di miliardi di utenti e la sostanziale irresponsabilità delle grandi piattaforme rispetto ai contenuti che veicolano, danno al triopolio digitale un vantaggio competitivo incolmabile. Per rendere la gara un po’ più equa l’antitrust italiano nei giorni scorsi ha inflitto ad Amazon una sanzione da oltre un miliardo di dollari per abuso di posizione dominante. Il tema è l’e-commerce, ma la contestazione in futuro potrebbe valere anche per il rastrellamento della pubblicità. In un libro che si intitola “Mercanti di verità”, pubblicato in Italia da Sellerio, Jill Abramson, già direttrice del New York Times, spiega come Facebook e Google sono diventati i più grandi editori che il mondo abbia mai conosciuto. Ma con gli altri editori, quelli tradizionali, non condividono gli obblighi, i costi di produzione delle notizie, i doveri fiscali, la responsabilità giuridica e quella sociale. E’ concorrenza sleale, molto sleale.
(© 9Colonne - citare la fonte)