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Gli italiani e la guerra: forse aveva ragione Montanelli

di Salvatore Tropea

“E’ del poeta il fin la meraviglia”. Giambattista Marino, uno dei massimi esponenti della poesia barocca, non aveva dubbi. Ma neppure la sua fervida fantasia avrebbe potuto aiutarlo a immaginare che un giorno, lontano quattro secoli, la ricerca di quella meraviglia sarebbe stata inseguita sotto forma di smania di audience televisiva, copie di giornali, visibilità nella giungla dei social. E pensare che lui si era premurato di aggiungere subito “parlo dell’eccellente e non del goffo” come se avesse avvertito con incredibile anticipo l’esplosione di quell’orgia di insensatezze e scelleratezze che da due mesi ammorbano i dibattiti sull’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, con un crescendo che va sempre più cancellando l’ultima tenue traccia di pudore.
Si dirà: è colpa del protrarsi di questa follia che porta inevitabilmente verso la reiterazione di giudizi, giusti o sbagliati che siano. Sarà anche così, ma la cosa più inquietante e per niente nobile non è tanto questa reiterazione quanto il fatto che essa si accompagna a un progressivo cambiamento dei giudizi alimentato dalla propaganda che avvelena il pensiero e lo disperde per strade pericolose. E allora può accadere, è sta già accadendo, che quello che si pensava quando è cominciata la sistematica devastazione dell’Ucraina venga accantonato per fare spazio a interpretazioni degli eventi che tendono a diventare sempre più di segno opposto. Si dimentica o si finge di dimenticare la sacralità di “sua maestà il fatto”, per dire l’origine di questa tragedia e dei suoi responsabili, e si cominciano ad arare terreni di cui si ignora la natura o si cerca di trovarne una che, facendo leva sulla parola pace, autorizza a discorsi che rimandano alla goffaggine temuta dal Marino.
Dapprima si è trattato di un drappello di tifosi del no a prescindere, per capirci i no Tav, No Vax, i no allo sbarco degli americani sulla luna, terrapiattisti, seguaci di Red Ronnie e complottisti assortiti. Poi le file si sono infoltite con l’entrata in scena di filosofi e personaggi in vista dello spettacolo e della politica: la visibilità, costi quel che costi. Fino a quando il fenomeno, da eccentricità insensata di pochi, non ha preso quota sull’onda di miserabili calcoli elettorali, sulla furbizia del né né, sul rigurgito di un vecchio anti americanismo che va sempre bene nei salottini della sinistra e all’occorrenza anche in quelli della destra. Naturalmente l’obiettivo di tutti è quello del negoziato e della pace e non importa se il ras del Cremlino continui a respingere ogni richiesta in tal senso. Loro insistono confortati da interventi di giornalisti russi che, lavorando al servizio dell’esercito danno la sola versione che è loro consentito dare: il rancio? Ottimo e abbondante. Oppure dalle minacce di Lavrov la cui impostura è degna dei più fedeli seguaci di Stalin.
Intanto l’asticella degli anti Nato e anti americani che non vogliono essere considerati filorussi va sempre più in alto: siamo al 50 per cento, ma si andrà oltre. Una situazione imbarazzante che richiama alla memoria una battuta di Indro Montanelli che apostrofava gli italiani ai quali, con la foga del toscanaccio di Fucecchio rimproverava di non aver mai concluso una guerra con lo stesso alleato col quale l’avevano cominciata.

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