di Paolo Pagliaro
Nella lunga, estenuante querelle sulla concessione delle spiagge hanno avuto spazio tutti i punti di vista, tranne uno.
Il punto di vista degli attuali concessionari, i cosiddetti balneari, è noto. Rivendicano i diritti acquisiti, gli investimenti fatti, il benessere delle loro famiglie. Ogni risarcimento non sembra mai abbastanza equo.
Il punto di vista della Commissione europea, che ci è stato notificato 16 anni fa e da allora non è mai cambiato, è che le concessioni pubbliche debbano essere assegnate con gare aperte e sulla base di criteri trasparenti, dal momento che permettono lo sfruttamento economico di un bene che appartiene a tutti, come appunto sono le spiagge.
Va nella stessa direzione ed è altrettanto noto anche il punto di vista di chi è chiamato a far rispettare le leggi. Il dovere di mettere a gara le concessioni è richiamato in tutte le sentenze della Corte Costituzionale, dei Tar, della Corte di Giustizia Europea. L’ultima pronuncia, quella del Consiglio di Stato, è di pochi giorni fa. Il fatto che il Tesoro ricavi ogni anno 100 milioni per licenze che valgono dieci volte tanto ha indotto un organismo tecnico come la Ragioneria a parlare di "mancato rispetto dell’interesse generale2.
Ecco, l’interesse generale – non essendo una lobby - è in effetti l’unico punto di vista ignorato da tutti. Eppure tra i criteri per l’affidamento delle concessioni c’è la qualità e il prezzo del servizio offerto agli utenti, l’accessibilità garantita ai disabili, il minimo impatto sul paesaggio, i varchi per raggiungere l’acqua, un quota minima di spiagge libere. E’ quello che milioni di persone vorrebbero trovare quando vanno al mare. Sarebbe bene che anche questo punto di vista trovasse qualche rappresentante, in parlamento o sui giornali.