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Chi non ama il 25 aprile
può starsene a casa

di Salvatore Tropea

Non molto tempo fa ho scritto che l’Italia è diventata il paese “delle scuse e del perdonismo” con riferimento alla sempre più diffusa abitudine a non controllare la lingua lasciandola libera di avventurarsi in esternazioni che sovente suonano come “voce dal sen fuggita”, con seguito di ammissione della colpa e promessa di ravvedimento. E’ questo un comportamento che genericamente si ritiene possa rimandare al mondo della politica e in qualche caso alla sua non elegante evoluzione. Ma, con l’esplosione incontrollata (incontrollabile?) dei social, l’uomo-massa di  Ortega y Gasset, appagato e tutt’altro che interessato a migliorarsi, può fare e fa anche di peggio al riparo di un anonimato che quasi sempre gli garantisce l’impunità.

Tornando alla politica e alle sue immediate vicinanze si può facilmente constatare come questo scellerato straparlare negli ultimi anni abbia alimentato pulsioni fasciste che, nelle parole e nei fatti, pensavamo fossero state consegnate alle pagine di storia sulla vergognosa parentesi del “Ventennio”. Una inquietante deriva che, mentre si va verso l’annuale celebrazione del 25 Aprile, preoccupa e consiglia più che mai di alzare le barriere protettive della democrazia come ci esorta a fare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ho ripensato ripetutamente a queste parole soffermandomi, negli ultimi giorni, più di quanto non avessi fatto in passato, davanti alle lapidi che nelle strade di Torino, dove vivo da sessant’anni, ricordano i tanti eroi della lotta antifascista tra i quali molti giovani. Alcuni sono nomi noti e che fanno parte della migliore toponomastica della città medaglia d’oro della Resistenza. Altri sono nomi meno noti finiti in un colpevole anonimato che esalta il loro martirio, esempio luminoso per coloro che pensano che la Libertà sia stata un regalo, ignorando il valore della scelta di quanti avrebbero potuto tenersi in disparte aspettando il momento di gettare, come l’Alberto Sordi di un celebre film il distintivo del fascio e la camicia nera, per confondersi con i vincitori. Per loro non ci saranno corone o fasci di fiori, ma come è successo negli anni passati, una mano ignota attaccherà una rosa o un garofano sotto il nome appena leggibile di una lapide sbiadita.
Perché il 25 Aprile è stata e sarà sempre la celebrazione del momento più alto della nostra storia, con buona pace di nostalgici e revisionisti. A proposito di questa “Festa grande d’aprile” come la definirono in una celebre canzone partigiana Franco Antonicelli e Sergio Liberovici, ho letto che alcuni esponenti del governo di destra e loro accoliti hanno fatto sapere che potranno parteciparvi solo se invitati. Uno di questi ha voluto aggiungere un non richiesto e indegno giudizio definendo l’incombenza una rottura di scatole (lui si è espresso in maniera ancor meno urbana). Tranquilli, nessuno sentirà il bisogno di averli a fianco. Sarebbe imbarazzante per quanti hanno rispetto per la storia e per se stessi doversi trovare in compagnia di qualcuno pronto a chiedere scusa sapendo che continuerà a pensarla a modo suo. Ignorando la storia e la Costituzione. 

(© 9Colonne - citare la fonte)