È legittima la norma introdotta dai decreti Sicurezza bis che consente il fermo amministrativo delle navi delle Ong che non rispettano le indicazioni delle autorità italiane durante le operazioni di soccorso in mare. È il punto fermo messo nero su bianco dalla Corte Costituzionale, che però nelle sentenza emessa oggi ha anche chiarito un punto essenziale: non può essere sanzionato chi, per salvare vite, disobbedisce a ordini contrari agli obblighi internazionali. La sentenza, depositata oggi, risponde ai dubbi sollevati dal Tribunale di Brindisi sulla legge introdotta nel 2020, poi modificata più volte, che prevede il fermo delle navi impegnate in soccorsi se non si attengono alle direttive delle autorità italiane, come l'obbligo di dirigersi subito verso un porto assegnato: la norma – scrivono i giudici – è sufficientemente chiara nel distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. E dunque non viola il principio di legalità sancito dalla Costituzione. Tuttavia, per la Corte il rispetto della vita in mare, dei diritti fondamentali delle persone soccorse e il divieto di respingimento forzato restano principi superiori. Un ordine delle autorità italiane che imponga una condotta contraria a questi obblighi – ad esempio, ritardare un salvataggio o portare i naufraghi in un porto non sicuro – non può essere considerato vincolante.
E non può essere punito chi lo disattende. Secondo la Corte dunque chi salva vite non può essere sanzionato se agisce nel rispetto delle convenzioni internazionali, come la Convenzione Sar (Search and rescue) di Amburgo, che obbliga tutti gli Stati a collaborare per la salvaguardia della vita umana in mare. La Corte ha anche confermato la legittimità della misura del fermo obbligatorio della nave, giudicandola proporzionata nei casi in cui l’infrazione compromette proprio quel sistema di cooperazione internazionale che garantisce i soccorsi. Il caso al centro della pronuncia riguarda una ONG, ma rievoca una lunga serie di episodi simili, che hanno visto le navi umanitarie accusate di violazioni procedurali e bloccate nei porti italiani. Celebre, tra gli altri, il caso della Sea-Watch 3, con a bordo la comandante Carola Rackete, che nel 2019 forzò l’attracco a Lampedusa per sbarcare migranti in condizioni critiche. All’epoca, fu arrestata e poi rilasciata: la sua condotta fu ritenuta giustificata dalla necessità di tutelare vite umane. Ma sono diverse le navi di organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo con operazioni dedicate al soccorso e all'assistenza dei migranti, come Medici Senza Frontiere, SOS Mediterranée, Mediterranea e la stessa Sea-Watch, che in questi anno hanno subito fermi amministrativi di diverse settimane, in genere per aver condotto salvataggi multipli.
(Sis)
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