Sono passati quattro anni da quando il 15 agosto 2021 le forze internazionali hanno abbandonato l’Afghanistan e il nuovo governo talebano si è instaurato al potere. In questi quattro anni il Paese ha visto l’inasprirsi di una crisi economica profonda; l’impoverimento della popolazione tra la disoccupazione e il divieto di lavorare per le donne in quasi tutti i settori tranne quello sanitario; il collasso del sistema salute, definanziato e depotenziato. Una situazione che non è destinata a migliorare alla luce del non riconoscimento internazionale dell’autorità de facto, della scelta nel corso del 2025 da parte dall’amministrazione Trump di tagliare i fondi all’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale e del crescente disinteresse della comunità internazionale. La pace in Afghanistan ha significato la fine della guerra, ma non delle sue conseguenze. Negli ospedali e negli ambulatori di Emergency sparsi nel Paese i postumi di quarant’anni di guerre sono ancora evidenti. Feriti da mina antiuomo, accoltellamenti e sparatorie, attentati continuano ad affollare i reparti dell’ospedale di Kabul; vittime di incidenti stradali hanno reso necessario cambiare i criteri di ammissione dei centri chirurgici di Lashkar-gah e di Anabah; donne incinte in condizioni sempre peggiori raggiungono il Centro di maternità nella Valle del Panshir anche insieme ai loro bambini, sempre più malnutriti. “L’Afghanistan di oggi è la cartina tornasole di cosa resta dopo decenni di guerra: 22.9 milioni di persone, più di metà della popolazione con necessità di aiuti umanitari, infrastrutture danneggiate, accesso alle cure limitato, diritti compromessi” ha detto Dejan Panic, direttore del programma di Emergency in Afghanistan. Nel suo ultimo report sull’accesso alle cure d’urgenza in Afghanistan (aggiornato a giugno), l’organizzazione umanitaria ha denunciato ancora una volta il legame diretto tra collasso economico e peggioramento delle condizioni sanitarie. Oltre il 70% della popolazione non ha accesso a cure gratuite o sostenibili. Tre afgani su cinque non possono pagare le cure e per ottenerle spesso si indebitano chiedendo denaro in prestito o vendendo i propri beni. Un afgano su quattro invece deve posticipare o annullare un intervento chirurgico perché non può pagarlo. Tanti sono i nuovi bisogni emersi a seguito della fine ostilità, dalle malattie non trasmissibili, tra cui malattie croniche che necessitano di lunghe terapie, alle patologie acute spesso trascurate per mancanza di mezzi economici e di trasporto. Le strutture di Emergency restano tra le poche a offrire assistenza gratuita e di qualità.
Nell’ospedale di Kabul il 50% dei pazienti sono ancora considerati vittime di guerra: arrivano al pronto soccorso con ferite da arma da fuoco, da taglio (sono la metà del totale dei feriti), da esplosioni o da mina. Violenza e criminalità sono conseguenze di una guerra che è terminata negli scontri, ma ha lasciato armi in quantità, mine antiuomo disseminate soprattutto in aree remote, povertà. “Vediamo vittime di rapine e aggressioni, liti famigliari, sparatorie – ha aggiunto Panic –. Tra i feriti da mine antiuomo, nel 2025, nei nostri Centri chirurgici di Kabul, Lashkar-gah e Anabah il 75% sono bambini che stavano solo giocando”. Il Centro chirurgico di Lashkar-gah è l’ospedale che accoglie il maggior numero di feriti a causa di traumi civili (circa l’80% dei pazienti ammessi), in particolare incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione delle strade e dell’aumentata mobilità quasi inesistente prima del 2021. Nel Centro di maternità di Anabah l’impatto delle limitazioni imposte alle donne da un punto di vista dell’istruzione, del lavoro e degli spostamenti è evidente nelle pazienti che raggiungono l’ospedale in gravi condizioni.
“Le donne – ha raccontato Keren Picucci, ginecologa del Cento – spesso esitano a rivelare i propri problemi di salute fino a quando la situazione non diventa grave e la preferenza o l’obbligo di essere trattate da personale medico femminile riduce ulteriormente le opzioni disponibili. Continuiamo a vedere mamme morire al parto perché non raggiungono l’ospedale in tempo o a causa di gravi complicanze che si sarebbero potute evitare. Molte donne incinte soffrono di carenze nutrizionali gravi che compromettono il buon esito della gravidanza e del parto". La mancanza di reddito e di sicurezza alimentare ha causato l’aumento dei casi di malnutrizione. In quelli più critici, la malnutrizione materna e neonatale si traduce in neonati sottopeso, infezioni ricorrenti e difficoltà nello sviluppo psicofisico, con conseguenze a lungo termine. Nel 2025 il 20% dei bambini ammessi nei reparti del Centro pediatrico di Emergency ad Anabah sono malnutriti.
Inoltre, secondo un'analisi di Save the Children, in media ogni 30 secondi circa, un bambino torna in Afghanistan dall'Iran o dal Pakistan, in un momento in cui quasi metà della popolazione afghana ha bisogno di assistenza umanitaria. Quattro anni dopo che il ritorno al potere dei talebani ha innescato un esodo di massa di afghani verso i paesi confinanti, infatti, l'Afghanistan, è alle prese con una nuova crisi migratoria. Secondo i dati, quest'anno oltre 800mila bambini sono entrati in Afghanistan, dal Pakistan e soprattutto dall'Iran che segna la media di circa tre bambini su quattro tornati dal Paese. Un dato che registra il doppio di ingressi rispetto allo scorso anno, quando entrambi i Paesi avevano fissato scadenze per l'espatrio di migranti e rifugiati irregolari. La maggior parte dei bambini entra in Afghanistan portando con sé solo ciò che può trasportare e migliaia di loro sono senza genitori o tutori. Molti sono stranieri in patria, nati nei Paesi confinanti o che hanno trascorso anni come rifugiati o migranti. “L'entità e il ritmo dei rientri in Afghanistan in questo momento sono senza precedenti. Siamo sull'orlo di una crisi umanitaria su vasta scala, come non ne abbiamo mai viste prima. Circa ogni 30 secondi, un bambino torna o è stato costretto a tornare nel Paese. Questo equivale a circa un'aula piena di bambini ogni 15 minuti. Molti di loro sono esausti, terrorizzati e timorosi su come riusciranno a sopravvivere in un Paese che da quattro anni a questa parte, deve già affrontare fame e povertà profonde. Migliaia di bambini stanno tornando soli, senza famiglia o accesso ai servizi di base. Le ricadute dei massicci tagli agli aiuti di quest'anno, hanno lasciato le squadre umanitarie sopraffatte dall'enorme quantità di richieste. Questa è una crisi gravemente carente di risorse, sottofinanziata e trascurata. E saranno i bambini a pagare il prezzo più alto” ha affermato Samira Sayed Rahman, direttrice advocacy di Save the Children in Afghanistan. (12 ago – red)
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