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direttore Paolo Pagliaro

ELEFANTI, IN 100 ANNI PERSI
90% ESEMPLARI AFRICANI

ELEFANTI, IN 100 ANNI PERSI <BR> 90% ESEMPLARI AFRICANI

“Matriarche e Memorie”. È questo il tema della Giornata mondiale dell'elefante (World Elephant Day) di quest’anno, celebrata come ogni anno il 12 agosto. La Giornata 2025 ha infatti un focus sul ruolo cruciale delle femmine di elefante nel guidare e preservare la storia dei loro branchi. È bene ricordare che la leadership del branco di elefanti è affidato ad una femmina adulta ed esperta, che è responsabile di guidare il gruppo, prendere decisioni cruciali su dove andare a reperire acqua e cibo e su come reagire ai pericoli. La Giornata è però anche un’occasione, per il WWF di lanciare l’allarme sullo stato di conservazione di queste specie, promuovendo le azioni di conservazione che contrastano bracconaggio, commercio di avorio, perdita di habitat e conflitti con l’uomo, e sensibilizzando sul ruolo chiave che gli elefanti svolgono negli ecosistemi e sul loro valore culturale. In otto Paesi del Sud-Est asiatico e della Cina (Cambogia, Cina, Laos, Indonesia, Malesia, Myanmar, Thailandia e Vietnam) restano circa fra gli 8.000-11.000 elefanti in natura. La popolazione residua di elefante asiatico oggi occupa appena il 5% del suo areale storico. Conosciuti come "ingegneri dell'ecosistema e giardinieri della foresta", gli elefanti asiatici svolgono un ruolo cruciale disperdendo semi e sostanze nutritive attraverso i loro escrementi mentre si spostano, creando percorsi nelle foreste dense e modificando gli habitat forestali a beneficio di altri animali. Anche le loro impronte possono formare piccoli ecosistemi che fungono da habitat per organismi come alcuni anfibi. La perdita e la frammentazione degli habitat, i conflitti con l'uomo e il bracconaggio hanno causato un allarmante declino della popolazione: in alcuni Paesi sono rimasti solo poche centinaia di individui in natura. È necessario intervenire con urgenza per arrestare questo declino. la coesistenza è certamente un fattore chiave per garantire un futuro all’elefante e alcuni spunti interessanti provengono da due studi effettuati recentemente in Asia. L’India il paese dove è presente la più grande popolazione di elefante asiatico (la popolazione di elefanti in questo paese si attesta tra i 25.000 e i 30.000 individui, pari a quasi due terzi della popolazione globale di elefanti asiatici). La presenza del pachiderma innesca inevitabilmente conflitti con le comunità locali, ma nel periodo 2009-2020 le istituzioni hanno sborsato mediamente ogni anno 4,79 milioni di dollari a titolo di indennizzo per i danni arrecati dagli elefanti. Nel complesso, il mantenimento della più grande popolazione esistente di elefanti selvatici al mondo, in un contesto fortemente antropizzato come quello indiano, è reso possibile da un solido quadro istituzionale, politico e giuridico dedicato alla conservazione. Questo impegno è ulteriormente rafforzato da una forte volontà politica e da una profonda affinità culturale verso gli elefanti e la natura, che favorisce un maggiore grado di tolleranza e sostegno agli sforzi di conservazione. Anche in Thailandia l’aspetto dirimente per la conservazione degli elefanti è la gestione delle aree condivise tra esseri umani ed elefanti, dove i conflitti possono diventare pericolosi per entrambi. Gli elefanti spesso si spingono fuori dalle aree protette, aumentando il rischio di incidenti e danni. Per questo, migliorare la gestione dei conflitti è fondamentale per garantire la sopravvivenza a lungo termine di questi animali. Il recente studio ha identificato una serie di azioni utili a proteggere gli elefanti in Thailandia: creare aree di conservazione, mettere in atto un sistema di risarcimenti alle comunità colpite da danni causati dagli elefanti, coinvolgere le comunità locali con gruppi di monitoraggio nelle zone a rischio, dare più potere alle autorità locali. Per proteggere davvero gli elefanti, serve una riforma profonda delle politiche di conservazione, che metta al centro le persone, i territori e la convivenza.

In Malesia invece, uno studio condotto presso il Centro Nazionale per la Conservazione degli Elefanti a Kuala Gandah, ha testato un metodo curioso: usare suoni minacciosi per scoraggiare gli elefanti dall’avvicinarsi ai campi. Ebbene il ruggito di tigre è apparso essere il suono che ha provocato negli elefanti la reazione più forte (33%), seguito dal **ronzio delle api** (23%). Lo studio, seppur ancora molto preliminare, suggerisce che riprodurre suoni minacciosi potrebbe essere una ulteriore misura da mettere in atto per tenere gli elefanti lontani da aree agricole riducendo i danni e i conflitti. Gli elefanti fanno parte del paesaggio asiatico da millenni e sono una specie chiave che porta benefici all’ecosistema e alle altre specie con cui condivide i territori, compresa la specie umana. Conservare gli elefanti e permettere loro di sopravvivere e prosperare non significa solo mantenere l'equilibrio dei loro ecosistemi, ma anche preservare i valori culturali di queste aree.

Anche gli elefanti africani si trovano ad affrontare forti difficolta. Il loro numero è drasticamente crollato, passando dai 12 milioni stimati circa un secolo fa ai 415.000 riportati nell’ultimo censimento. Si può quindi dire che in 100 anni nel continente africano abbiamo perso più di 9 elefanti su 10. Le due specie presenti sono l’elefante di savana (Loxodonta africana) classificato come “in pericolo” e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis) invece inserito tra le specie in “pericolo critico”. Il bracconaggio resta la causa principale del declino di entrambe le specie: si stima che ogni anno, infatti, vengano uccisi circa 20.000 elefanti per il commercio illegale di avorio. A questo si aggiungono le uccisioni generate dai conflitti con le comunità locali, purtroppo in crescita a causa della deforestazione (trasformazione di aree di foresta e savana in coltivazioni), carenza di cibo o di acqua. Da oltre 30 anni il WWF porta avanti programmi di conservazione in Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo e Gabon come le azioni di mitigazione dei conflitti con l’uomo, lo sviluppo del programma “Zero Poaching”, la collaborazione con il programma TRAFFIC per ridurre il commercio di avorio, il lavoro di sostegno alle comunità locali attraverso lo sviluppo di attività economiche sostenibili, l’educazione ambientale, l’assistenza medica e il sostegno alla scolarizzazione. Grazie al progetto “Una foresta per gli elefanti”, nel territorio del Tridom (Gabon, Camerun, Repubblica del Congo) il WWF sta realizzando azioni di studio e monitoraggio tramite fototrappole, analisi genetiche e tagging, rafforzamento del sistema antibracconaggio, aumentando le risorse disponibili per gli uffici che lavorano sul campo, le tecnologie avanzate e la formazione delle guardie. Il progetto prevede, inoltre, un’intensa attività finalizzata a migliorare la convivenza tra elefanti e comunità locali, tramite azioni volte a mitigare i conflitti attraverso un nuovo approccio, denominato SAFE, che punta al raggiungimento di 5 obiettivi generali misurabili: sicurezza per le persone, sicurezza per la fauna selvatica, protezione delle proprietà umane, protezione dell’habitat, monitoraggio efficace. Uno studio condotto tra Kenya e Tanzania ha provato a capire meglio le attitudini delle comunità locali nei confronti degli elefanti. I risultati dello studio hanno evidenziato come le persone che attribuiscono un valore culturale agli elefanti tendono ad avere un atteggiamento positivo verso la loro protezione. Al contrario, chi ha subito danni dagli elefanti o da altri animali selvatici è più propenso ad avere opinioni negative. I risultati dello studio suggeriscono che per migliorare la convivenza tra esseri umani ed elefanti è fondamentale valorizzare i legami culturali con la fauna, Investire nel benessere delle comunità locali e adottare strategie che includano tutti gli animali selvatici, non solo gli elefanti. (12 ago – red)

 

 

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