Con tanto di tappeto rosso, un sorvolo di caccia militari e lo slogan ottimistico “Pursuing Peace” a fare da cornice, Donald Trump ha accolto Vladimir Putin sul suolo americano per il summit di Anchorage, in Alaska. Dopo quasi tre ore di colloqui, i due leader si sono presentati insieme davanti alle telecamere, proclamando progressi ma senza fornire alcun dettaglio concreto.
Il vertice si è chiuso in maniera brusca, con la cancellazione della conferenza stampa prevista. L’impressione dominante, a conti fatti, è che non sia stato raggiunto nessun accordo, soprattutto sul tema cruciale del cessate il fuoco in Ucraina, obiettivo dichiarato da Trump alla vigilia. Il presidente americano ha spostato l’attenzione sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky, affermando che spetta a lui “fare un accordo”.
“Abbiamo trovato molti punti di intesa, la maggior parte direi”, ha dichiarato Trump. “Restano alcune questioni importanti, una in particolare, ma credo che potremo arrivare a un’intesa.” Poco dopo, ha concluso con la formula tautologica a cui Trump ha da tempo abituato il mondo: “Non c’è accordo finché non c’è un accordo.”
Il contrasto tra le immagini di Anchorage e la realtà sul terreno in Ucraina è stato netto. Proprio mentre Trump e Putin si stringevano la mano all’aeroporto militare di Elmendorf, a Sumy le sirene antiaeree annunciavano nuovi attacchi russi con droni e missili. Una dimostrazione della distanza tra la retorica diplomatica e la prosecuzione del conflitto.
Trump, intervistato da Fox News subito dopo il summit, ha lasciato intendere che parte delle discussioni riguardava concessioni territoriali e garanzie di sicurezza a Kiev. Non ha fornito dettagli, ma ha ribadito che l’ultima parola spetta a Zelensky: “Deve fare un accordo.”
Al di là dei contenuti, l’immagine che resterà di questo incontro è il ritorno di Putin sulla scena internazionale. Per il leader del Cremlino, isolato dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina e con un mandato d’arresto internazionale ancora pendente, la cerimonia di accoglienza in Alaska rappresenta già una vittoria simbolica.
Era dal 2015 che Putin non metteva piede negli Stati Uniti. Stavolta lo ha fatto da ospite d’onore, accolto con gli onori riservati ai grandi della diplomazia. La stretta di mano con Trump, rilanciata con enfasi dai media russi come “storica”, ha segnato un ritorno che mette in discussione anni di tentativi occidentali di isolarlo.
Un momento particolarmente eloquente è stato il passaggio in cui Putin è salito sull’auto blindata presidenziale insieme a Trump: un gesto raro, carico di valore simbolico, che ha suggellato il suo rientro nel gioco della diplomazia globale.
Un’altra sorpresa del vertice è arrivata con la decisione, annunciata all’ultimo, di abbandonare l’idea di un faccia a faccia ristretto tra i due leader con i soli interpreti. Alla riunione hanno preso parte anche due consiglieri: il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale Steve Witkoff. Una scelta che, secondo fonti americane, potrebbe rendere più chiaro nei prossimi giorni che cosa sia stato effettivamente discusso, evitando le zone d’ombra che avevano caratterizzato i precedenti incontri tra i due.
Resta comunque un segmento della giornata che rimarrà avvolto nel mistero: la breve conversazione privata a bordo della limousine presidenziale, quando Trump e Putin hanno percorso insieme il tratto dall’aeroporto alla sede dei colloqui. Nessun consigliere, nessun traduttore: solo loro due e gli agenti dei servizi segreti.
Un dettaglio che alimenta ulteriormente le incognite su un summit che, tra promesse di pace e immagini solenni, si è concluso senza risposte concrete. (peg - 16 ago)