Domenica Israele ha assistito alla più grande ondata di proteste dall’inizio della guerra a Gaza, 22 mesi fa. Secondo i media locali, centinaia di migliaia di persone sono scese in strada per chiedere un accordo immediato sul rilascio degli ostaggi. Famiglie e attivisti hanno bloccato autostrade, acceso roghi davanti alle abitazioni dei politici e manifestato davanti alle basi militari. “Ogni azione oggi è un’ancora di salvataggio per un accordo che ponga fine alla guerra e riporti a casa i 50 ostaggi”, ha dichiarato Lishay Miran-Lavi, moglie di un ostaggio, citata da Al Jazeera. La polizia ha riferito di almeno 38 arresti. Nelle stesse ore, la Striscia di Gaza ha registrato nuove vittime civili. Tre palestinesi, tra cui un bambino, sono morti domenica in un attacco israeliano contro un edificio che ospitava sfollati nel quartiere Daraj di Gaza City, ha riportato Al Jazeera citando fonti di un servizio di ambulanze. Lunedì mattina una donna è rimasta uccisa e altre persone ferite in un bombardamento su una casa nel campo di Nuseirat, nel centro della Striscia, secondo fonti dell’ospedale al-Awda. Sempre nella giornata di oggi, un pescatore palestinese è stato colpito a morte da soldati israeliani al largo di Gaza City, riferiscono fonti mediche locali. Amnesty International, in una dichiarazione diffusa nelle ultime ore, ha accusato Israele di condurre una “campagna deliberata di fame” a Gaza. “La combinazione mortale di fame e malattia non è un effetto collaterale, ma l’esito voluto di piani e politiche”, ha affermato Erika Guevara Rosas, direttrice per ricerca e advocacy dell’organizzazione. Stando ai dati condivisi dal ministero della Salute palestinese il numero di persone morte di fame ammonta ad almeno 263 persone, di cui 112 bambini. Sul fronte politico, il premier Benjamin Netanyahu continua a muoversi su un terreno scivoloso. Secondo Ynet, nelle ultime settimane ha intensificato i colloqui con i partner di estrema destra per blindare la coalizione e prepararsi a eventuali elezioni anticipate. Si parla di nuove liste satellite, di fusioni tra partiti e di un Likud da mantenere saldo sotto il suo controllo. L’esercito israeliano sta valutando di arruolare giovani ebrei residenti all’estero per colmare un deficit stimato tra 10.000 e 12.000 soldati, dovuto soprattutto al rifiuto dei cittadini ultra-ortodossi (Haredim) di prestare servizio. La misura mira a rafforzare le forze armate in difficoltà per le operazioni a Gaza, secondo quanto riportato dall’emittente radiofonica israeliana Army Radio. Intanto dall’estero arrivano segnali di insofferenza: lunedì il governo australiano ha negato il visto al deputato ultranazionalista Simcha Rothman, membro della coalizione, definendo le sue posizioni “divisive”, come riportato dal Guardian. Anche la Cisgiordania conferma la tensione crescente. Nelle ultime ore video verificati da Al Jazeera mostrano coloni, protetti dall’esercito, all’opera con bulldozer a Masafer Yatta per aprire nuove strade e predisporre un avamposto. ONG locali parlano di una strategia sistematica di espulsione, mentre a Gerusalemme l’ambasciatore statunitense Mike Huckabee ha definito “non in violazione della legge internazionale” il contestato progetto edilizio nell’area E1, destinato a collegare Maale Adumim con Gerusalemme Est. Sul piano diplomatico, oggi il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, è atteso al Cairo per un nuovo round di colloqui con l’Egitto. La mediazione finora non ha prodotto risultati, ma resta l’unico canale aperto. Sullo sfondo, le parole del capo di Stato Maggiore israeliano, Eyal Zamir, riportate da Channel 12: l’esercito punta a evacuare Gaza City entro due mesi, preludio a una vasta operazione di terra. In questo quadro frammentato, le famiglie israeliane chiedono la vita dei propri cari, i civili palestinesi contano i morti e la diplomazia fatica a reggere il passo della guerra. La frattura, interna e regionale, resta più profonda che mai. (18 ago – sem)
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