“È un piano molto buono per Israele e per Gaza: non so se lo sarà per Netanyahu, i cui interessi non coincidono con quelli d'Israele”. Lo afferma l'ex premier israeliano Ehud Barak in una intervista a La Stampa. Tony Blair, detestato dai palestinesi, è l'uomo adatto a guidare la transizione a Gaza? “E’ la scelta migliore e la più pragmatica. Tony Blair frequenta la regione dai tempi del Quartetto e conosce la via ai compromessi che non umiliano, è rispettato al Cairo, Gaza e Cisgiordania sono collegate, se Trump vince sulla prima la seconda seguirà. E parte delle colonie dovrà essere rimossa Riad e Amman ma anche a Doha e Ankara. E non è previsto che la sua assegnazione passi da Abu Mazen: altri, come Salam Fayad e Mohammad Dahlan, non hanno obiezioni. E comunque i palestinesi non sono in pieno controllo del processo guidato da Trump”. Non è un problema, questo? “Fatah non è a Gaza dal 2006. E Hamas ha chiaro il fatto che dopo il 7 ottobre non potrà mai più guidare la Striscia, ma a conti fatti può accontentarsi: la cecità del governo israeliano, ossessionato dall'idea irrealizzabile di distruggere fino all'ultimo guerrigliero, è riuscita per ironia della storia a trasformare la disfatta militare di Hamas in una vittoria politica e diplomatica. La guerra a Gaza, del tutto giustificata due anni fa, avrebbe dovuto finire a febbraio, quando l'intero asse della "resistenza" era crollato e Hamas, ridotto a zero, poteva essere sostituito nell'unico modo possibile e legittimo, ossia con l'Anp. Invece si è continuato a combattere per mera sopravvivenza del governo, cercando follemente di persuadere il mondo che non ci sono innocenti a Gaza col risultato di esporci all'isolamento, al boicottaggio e alla fuga in avanti dei nostri amici occidentali verso un riconoscimento dello Stato Palestinese prima del negoziato”. Non condivide la mossa della Francia e di altri Paesi Ue… “Non tocca a me dire cosa debbano fare. Credo però che sarebbe stato meglio formulare la cosa imponendo a entrambi negoziati diretti e senza precondizioni per creare uno Stato palestinese demilitarizzato ma sostenibile. Nominare l'argomento in Israele oggi, dopo il 7 ottobre, è lunare: il Paese è in stato di trauma, c'è rabbia, umiliazione, desiderio di vendetta. Ma passerà, e i leader devono capirlo, devono sentire dove sta la gente ma anche sapere da che parte stiamo andando. Netanyahu ha evocato per Israele il modello Sparta, la forza al prezzo di isolamento e autarchia: è ridicolo. Dobbiamo essere forti perché la regione non consente seconde possibilità ma non possiamo neppure vivere in guerra”. (9 ott - red)
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