Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

LEONE XIV: LA CHIESA
NON SCORDI I POVERI

LEONE XIV: LA CHIESA <BR> NON SCORDI I POVERI

“Non è possibile dimenticare i poveri, se non vogliamo uscire dalla corrente viva della Chiesa che sgorga dal Vangelo e feconda ogni momento storico”. E’ uno dei passaggi dell’esortazione Apostolica “Dilexi te” (Ti ho amato) di papa Leone XIV sull’amore verso i poveri. La prima esortazione apostolica del papa Prevost chiamato come successore di Pietro lo scorso 8 maggio. Il pontefice, in un testo di 121 punti, Riflette sul rapporto con gli ultimi della società e sul loro posto fondamentale nel popolo di Dio. Lavoro già iniziato dal predecessore, Papa Francesco, che stava preparando, in continuità con l'enciclica “Dilexit nos” negli ultimi mesi della sua vita “immaginando – scrive papa Leone - che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza, poco potere, ma io ‘ti ho amato”. Il Papa fa suo il testo di Franceso “aggiungendo alcune riflessioni” e lo propone all’inizio del suo pontificato “condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Anch’io infatti ritengo necessario insistere su questo cammino di santificazione, perché nel ‘richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi’”. La condizione dei poveri rappresenta “un grido che, nella storia dell’umanità, interpella – scrive il papa - costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa. Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare forse più correttamente dei numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà”. In questo senso – sottolinea Prevost – “si può dire che l’impegno a favore dei poveri e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, pur essendo diventato importante negli ultimi decenni, rimane sempre insufficiente; anche perché le società in cui viviamo spesso privilegiano criteri di orientamento dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze e, perciò, a vecchie povertà di cui abbiamo preso coscienza e che si tenta di contrastare, se ne aggiungono di nuove, talvolta più sottili e pericolose. Da questo punto di vista, è da salutare con favore il fatto che le Nazioni Unite abbiano posto la sconfitta della povertà come uno degli obiettivi del Millennio”.

Un passo del libro del Levitico esorta a “onorare il proprio connazionale, mentre in altri testi – ricorda il Papa - si trova un insegnamento che invita al rispetto – se non addirittura all’amore – anche del nemico: ‘Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a sé stesso: mettiti con lui ad aiutarlo’. Da ciò traspare il valore intrinseco del rispetto per la persona: chiunque, perfino il nemico, si trovi in difficoltà, merita sempre il nostro soccorso”. È “innegabile – per Leone - che il primato di Dio nell’insegnamento di Gesù si accompagna all’altro punto fermo che non si può amare Dio senza estendere il proprio amore ai poveri. L’amore per il prossimo rappresenta la prova tangibile dell’autenticità dell’amore per Dio”. La carità – scrive ancora – “non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto”. La carità cristiana, quando “si incarna, diventa liberatrice. E la missione della Chiesa – sottolinea il Pontefice - quando è fedele al suo Signore, è sempre quella di annunciare la liberazione”. Ancora oggi, quando milioni di persone “vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”, eredità portata avanti da molti ordini religiosi e da altre istituzioni e congregazioni che lavorano nelle periferie urbane, nelle zone di conflitto e nei corridoi migratori. Quando la Chiesa “si inchina per spezzare le nuove catene che legano i poveri, diventa un segno pasquale”. Il papa cita le condizioni che vivono i carcerati ricordando le parole che Papa Francesco ha rivolto a un gruppo di loro: “Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità [...]. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni, sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto”. Questa volontà, tra l’altro - scrive Leone – è stata assunta anche dagli Ordini dediti al “riscatto dei prigionieri come servizio preferenziale alla Chiesa”.

Il papa si sofferma poi sull’educazione dei poveri che “per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere. I piccoli hanno diritto alla conoscenza, come requisito fondamentale per il riconoscimento della dignità umana. Insegnare ad essi è affermarne il valore, dotandoli degli strumenti per trasformare la loro realtà. La tradizione cristiana considera il sapere come un dono di Dio e una responsabilità comunitaria”. L’educazione cristiana – scrive – “non forma solo professionisti, ma persone aperte al bene, al bello e alla verità” e cita la scuola cattolica che “di conseguenza, quando è fedele al suo nome, si configura come uno spazio di inclusione, formazione integrale e promozione umana; coniugando fede e cultura, semina futuro, onora l’immagine di Dio e costruisce una società migliore”.

Nell’Esortazione spazio anche al tema dei migranti ricordando l’opera secolare della Chiesa verso quanti sono costretti ad abbandonare le proprie terre, espressa in centri accoglienza, missioni di frontiera, sforzi di Caritas Internazionale e altre istituzioni. La Chiesa, “come una madre – scrive il Papa - cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti. Sa che il suo annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza. E sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità”.

Per il papa servire i poveri non è un gesto da fare “dall’alto verso il basso”, ma un incontro tra pari... La Chiesa, quindi, “quando si china a prendersi cura dei poveri, assume la sua postura più elevata”.

Prevost dice che dobbiamo riconoscere che, lungo i secoli di storia cristiana, l’aiuto ai poveri e la lotta per i loro diritti “non hanno riguardato soltanto i singoli, alcune famiglie, le istituzioni o le comunità religiose. Ci sono stati, e ci sono, diversi movimenti popolari, costituiti da laici e guidati da leader popolari, tante volte sospettati e addirittura perseguitati”. Quando le diverse istituzioni “pensano ai bisogni dei poveri è necessario ‘che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune’. Se i politici e i professionisti non li ascoltano, “ ‘la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino’. Lo stesso si deve dire delle istituzioni della Chiesa”. Per il Papa la carità è “una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento. Questa è la sorgente a cui deve attingere ogni impegno per risolvere le cause strutturali della povertà e per avviarlo con urgenza”. Da qui l’auspicio che cresca il numero dei politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e “non l’apparenza dei mali del mondo perché si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra”. È “pertanto doveroso” continuare a denunciare la “dittatura di un’economia che uccide” e riconoscere che “mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole”.

Il cristiano – è la sottolineatura forte del Papa – “non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una ‘questione familiare’. Sono ‘dei nostri’. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa” dopo aver tracciato le cause della povertà. La cultura dominante dell’inizio di questo millennio – scrive il papa – “spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento”. E parlando della carità il papa scrive che l’esercizio della carità risulta talvolta “disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale” . “Come cristiani – scrive - non rinunciamo all’elemosina. Un gesto che si può fare in diverse maniere, e che possiamo tentare di fare nel modo più efficace, ma dobbiamo farlo. E sempre sarà meglio fare qualcosa che non fare niente. In ogni caso ci toccherà il cuore. Non sarà la soluzione alla povertà nel mondo, che va cercata con intelligenza, tenacia, impegno sociale. Ma noi abbiamo bisogno di esercitarci nell’elemosina per toccare la carne sofferente dei poveri”. E poi aggiunge che se una comunità della Chiesa non coopera per l’inclusione di tutti “correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti”. Occorre affermare – scrive il Papa – “senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri”.

A controbilanciare l’atteggiamento di indifferenza, un mondo di santi, beati, missionari che, nei secoli, hanno incarnato l’immagine di “una Chiesa povera per i poveri”. Come Francesco d’Assisi, Madre Teresa, San Lorenzo, San Giustino, Sant’Ambrogio, San Giovanni Crisostomo, Sant’Agostino che affermava: “Chi dice di amare Dio e non ha compassione per i bisognosi mente”. E poi i Camilliani per i malati (49), le congregazioni presenti in ospedali e case di cura, l’accoglienza nei monasteri benedettini d vedove, bambini abbandonati, pellegrini e mendicanti (55). E ricorda pure francescani, domenicani, carmelitani, agostiniani che hanno avviato “una rivoluzione evangelica” attraverso uno “stile di vita semplice e povero”. Una tradizione, questa che “non si è conclusa. Al contrario, ha ispirato nuove forme di azione di fronte alle schiavitù moderne: il traffico di esseri umani, il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale, le diverse forme di dipendenza. La carità cristiana, quando si incarna, diventa liberatrice”. (9 OTT - Leo)

(© 9Colonne - citare la fonte)