Provo ad approfittare dell’ospitalità che – bontà sua – mi concede 9colonne per una brevissima riflessione che esula dalle mie specifiche competenze di giuslavorista: mi riferisco alla ventilata assegnazione al Presidente Trump del premio Nobel per la pace, che è stata esclusa per quest’anno, ma non del tutto per il prossimo. La riflessione esula sì dall’orticello che usualmente coltivo, ma ha ad oggetto un tema che sta a cuore a tutti i giuristi quale che sia l’ambito di riferimento del loro interesse culturale: il tema dell’interpretazione. L’interpretazione è infatti un tema trasversale che interessa gli studiosi di qualsiasi branca del sapere (dalla teologia all’arte) ma è cruciale per il diritto perché attraverso essa passa la vita concreta delle regole e la loro applicazione nelle aule di giustizia.
Ed allora proviamo a leggere insieme la norma da interpretare. Secondo le ultime volontà di Alfred Nobel il premio avrebbe dovuto essere assegnato a «colui che avrà svolto il lavoro più o meglio per la fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per lo svolgimento e la promozione di congressi di pace».
Ora da giuristi siamo perfettamente consapevoli degli interessi che stanno dietro le scelte interpretative e dello scontro che si perpetua all’interno della norma tra (finta) oggettività e (vera) soggettività interpretativa. Tutto vero, tutto giusto.
Ma come si fa ad allargare le maglie interpretative fino al punto di collocare entro la categoria della “fraternità” i comportamenti di un uomo che afferma di odiare chi non è d’accordo con lui o le sue politiche; è aggressivo fin dal lessico adoperato; toglie i finanziamenti alle associazioni umanitarie? E come si fa a collocare entro la categoria di chi professa “l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti” i comportamenti di un uomo che dichiara di volersi impadronire con la forza di Panama, Groenlandia e Venezuela (per tacer del Canada); dichiara di volere l’esercito più potente del mondo; cambia la denominazione del Pentagono da ministero della difesa a ministero della guerra; raduna i generali e dichiara di volerli “letali”?
Certo nell’interpretazione giuridica tutto in astratto è possibile, anche se a me pare che per fare entrare entro la cruna dell’ago del Nobel l’ingombrante cammello trumpiano occorra piuttosto adeguarsi alla filosofia di Humpty Dumpty, che spiega ad Alice che quando adopera una parola essa ha esattamente il significato che egli intende darle. Ed all’obiezione di Alice che dubita che egli possa fare in modo che le parole indichino cose diverse, Humpty Dumpty replica: «bisogna vedere chi è che comanda … ecco tutto».
E allora – se così stanno le cose – perché non assegnare a Trump anche il Nobel per la chimica, per aver messo insieme elementi che prima non si combinavano (israeliani e palestinesi) o per l’economia, per aver armonizzato le economie mondiali con il sistema dei dazi.
Attendiamo fiduciosi.
* Professore Emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Pisa
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