Teste di marmo che sembrano trattenere un grido, gabbie metalliche che imprigionano pensieri, rovi e roseti d’acciaio che custodiscono denti come pistilli: dallo scorso 9 ottobre al 4 novembre, il Palazzo delle Stelline – nelle sale dell’Institut francais Milano – accoglie “Tremori sotto la pelle” di Anne-Cécile Surga, un viaggio scultoreo in 15 opere che attraversa cinque anni di vita dell’artista e si dispiega come un percorso di riconciliazione con il corpo, la mente e la materia. Una mostra che racconta il cammino di una donna che scopre in età adulta la propria neurodivergenza e la trasforma in linguaggio poetico e sensoriale, conducendo il visitatore dentro una dimensione in cui ogni scultura diventa un varco emotivo, un punto di passaggio tra interiorità e mondo esterno. A cura di Julia Rajacic, Tremori sotto la pelle nasce da una lunga ricerca che unisce introspezione e gesto, esperienza personale e processo creativo, e si alimenta del tempo lento della lavorazione e della sedimentazione del pensiero. Dopo oltre un decennio dedicato al marmo — materia che l’artista recupera e rigenera come atto etico prima ancora che estetico — Surga si confronta per la prima volta con il metallo, medium che incarna la forza di una rinascita e l’energia di un corpo che si ricompone. La scultura diventa così un rituale di guarigione, un modo per attraversare il dolore e restituirlo alla forma, come se ogni taglio della materia fosse un respiro che torna, una possibilità di equilibrio. L’esposizione si apre con le teste scolpite nel marmo nero della serie Black Holes, opere che condensano un’emotività compressa, un linguaggio interrotto, la tensione di un pensiero che implode sotto la superficie. In queste forme dense e levigate si percepisce la difficoltà della parola, la ricerca di un codice che restituisca al volto la sua verità interiore. La sequenza prosegue con Cage of Thoughts, sculture in marmo e metallo realizzate durante la residenza dell’artista al Centro Internazionale di Scultura di Peccia nel 2023: blocchi di pietra dalle forme organiche e irregolari sospesi dentro gabbie metalliche, come pensieri che si urtano, si intrecciano e cercano un varco di luce. È la rappresentazione di una mente in lotta con sé stessa, di un equilibrio fragile tra controllo e caos, tra necessità di ordine e impulso vitale. Il percorso culmina con Mauvaise graine, la serie che segna un punto di svolta nel lavoro di Anne-Cécile Surga e coincide con il momento della diagnosi: il passaggio da una percezione frammentata a una nuova consapevolezza. Qui, le sculture si aprono a un linguaggio più fluido e vitale, dove il metallo assume forme vegetali e ramificate, rovi e roseti che sembrano fiorire e ferire nello stesso tempo. Alcune rose custodiscono al loro interno pistilli-denti realizzati in resina e polvere di marmo, calchi della dentatura dell’artista, memoria fisica di un bruxismo che diventa metafora di tensione e rilascio, di dolore che trova una nuova espressione plastica. È in questo ambiente che la tensione si scioglie, e il viaggio di Tremori sotto la pelle si conclude nella quiete di un paesaggio rigenerato, dove la differenza non è più ferita ma risorsa, e la materia non cancella il passato, ma lo reintegra in una forma più ampia e armonica. L’allestimento ideato da Julia Rajacic amplifica la dimensione sensoriale dell’opera e invita il pubblico a vivere la mostra come un’esperienza fenomenologica, in cui luce e suoni definiscono lo spazio e accompagnano il movimento del corpo. La mostra si svolge con il Patrocinio del Comune di Milano e dell’Institut français Milano in collaborazione con Jardino e Piero Atchugarry Gallery. Nata nel 1987 a Lavelanet, in Ariège, nel cuore dei Pirenei francesi, Anne-Cécile Surga ha seguito un percorso artistico atipico e autodidatta. Fin dall'infanzia manifesta un interesse naturale per l'arte, entrando nel 2000 in una scuola di disegno e pittura classica. Nel 2006, pur seguendo studi in economia, continua a praticare la scultura su argilla la sera, prima di ottenere un master in amministrazione aziendale alla Florida Gulf Coast University. Nel 2012 si trasferisce a New York, dove consegue un master in storia dell'arte presso Christie's Education. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private, tra cui il Museo MUST a Vimercate, in Italia, e la Fundacion AMA in Cile. Vincitrice di diversi premi (YICCA Art Prize, 2017; borsa Mary Beth Gutkowski, 2019; borsa On Form, 2020), partecipa nel 2022 alla 59a Biennale di Venezia nel padiglione della Repubblica di San Marino e nel 2023 entra a far parte della prestigiosa Académie des savoir-faire "La Pierre" della Fondation d'entreprise Hermès. In coerenza con le tematiche affrontate dalla mostra, è stata prestata particolare attenzione all'accessibilità per il pubblico neurodivergente. Questa sfida è rafforzata da uno degli assi principali della mostra, che mette in luce l'ipersensibilità dell'artista attraverso stimoli olfattivi, visivi e sonori volutamente amplificati per far percepire questa intensità sensoriale. L'istituzione di fasce orarie dedicate, ispirate alle "ore calme", permette di modulare tali stimoli in base al pubblico presente. La mostra beneficia inoltre dell'accompagnamento di psicologi e psicoterapeuti, nonché della presenza di una mediatrice sensibilizzata ai bisogni delle persone neurodivergenti. Collaborazioni con associazioni e laboratori creativi, permettono l'organizzazione di visite guidate e laboratori artistici in relazione alle opere esposte. Per approfondire la comprensione delle tematiche legate all'autismo e alla neurodiversità, materiali didattici forniti dall'Associazione Nazionale Genitori per Persone con Autismo completano questo approccio, offrendo al pubblico ulteriori strumenti per affrontare queste tematiche. Tremori sotto la pelle, sotto la curatela di Julia Rajacic e guidata dall'agenzia creativa eco-responsabile Jardino, si sviluppa in una logica artistica e ambientale integrata, dove creazione e responsabilità dialogano tra loro. Pensata secondo criteri di sobrietà e basso impatto ecologico, prosegue la pratica di Anne-Cécile Surga, fondata sul riciclo e il riuso. Fin dalla produzione delle opere, questa attenzione si traduce nell'utilizzo di blocchi di marmo recuperati e di polvere di marmo riutilizzata. La scenografia adotta la stessa filosofia: recupero dei pannelli espositivi da una precedente mostra della Design Week tenuta nella stessa galleria dell'Institut francais Milano, impiego di materiali riciclabili come il cartone e realizzazione delle casse di trasporto in legno riciclato. La produzione si è svolta principalmente in Italia, in un laboratorio a Lecco, per ridurre le emissioni di CO2 legate al trasporto. (gci)
ALLA SCOPERTA DELLE CERAMICHE DI LUCIO FONTANA
Un’occasione per approfondire le ceramiche di Lucio Fontana: la mostra “Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana” a cura di Sharon Hecker, storica dell’arte, allestita negli spazi espositivi della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, sarà visitabile dallo scorso 11 ottobre al 2 marzo 2026. La direttrice Karole P. B. Vail ha sottolineato l’importanza di questo omaggio a Lucio Fontana, tra gli artisti più innovativi e irriverenti del XX secolo: "Si tratta della prima mostra museale interamente dedicata alla produzione ceramica di Lucio Fontana", ha affermato Vail, proseguendo: "Come suggerisce il titolo stesso, attraverso una sorprendente varietà di lavori, circa settanta, la mostra offre un approfondimento inedito sul rapporto vitale dell’artista con la creta, materiale che accompagnò il suo percorso creativo per tutto l’arco della vita. Già nel 2006 il museo ha reso omaggio all’artista con la mostra Lucio Fontana. Venice/New York, curata da Luca Massimo Barbero. Oggi torniamo ad ospitare una monografica dedicata a Fontana, ma che ne esplora un lato assolutamente meno conosciuto, ovvero il suo rapporto con la ceramica". "Questa mostra svela un lato più intimo e tattile di Fontana, nato da un legame profondo e duraturo con una materia umile come l'argilla, un lato che va oltre la figura iconica ed eroica conosciuta per i suoi tagli e i gesti audaci - ha poi proseguito la curatrice Hecker - Ripercorrendo l'approccio diretto dell'artista alla ceramica, l’esposizione restituisce a questo medium il ruolo che gli spetta accanto al marmo e al bronzo, riconoscendone la forza espressiva e il valore artistico. Celebra non solo il rapporto di Fontana con i rituali del lavoro con la creta, ma anche le straordinarie potenzialità di questo materiale come strumento di sperimentazione e di libertà creativa. Mi auguro che la mostra sappia sorprendere il pubblico e offrire una nuova prospettiva su un artista dall'inesauribile capacità d’innovazione". Con circa settanta opere, alcune delle quali mai esposte prima, provenienti da note collezioni pubbliche e private, la mostra intende far luce sulla portata della visione scultorea di Fontana attraverso un materiale come la creta, rivelando come abbia rappresentato, nel corso degli anni, un terreno di sperimentazione ricco e produttivo. La sua produzione ceramica si distingue per la varietà di forme, tecniche e soggetti: dalle opere figurative che rappresentano donne, animali marini, arlecchini e guerrieri, fino alle sculture astratte, il suo approccio all’argilla recupera i rituali antichi imposti dalla materia, sui quali interviene in modi innovativi. La sua pratica ceramica si sviluppa nell’arco di decenni e in contesti molto diversi: dal primo periodo in Argentina al ritorno in Italia all’epoca del Fascismo, seguito da un ulteriore lungo soggiorno in Argentina durante la guerra e da un nuovo rientro, nel dopoguerra, nell’Italia della ricostruzione e del boom economico. Fontana realizzò anche oggetti per interni privati, dai piatti ai crocifissi, caminetti e maniglie, spesso in collaborazione con importanti designer. Con rinomati architetti milanesi creò fregi ceramici per facciate di edifici e sculture per chiese, scuole, cinema, hotel, circoli sportivi e tombe che ancora oggi ornano la città. In mostra sono presenti sia pezzi unici realizzati a mano che oggetti prodotti in serie, alcuni dei quali sfumano i confini tra le due categorie. L’esposizione ripercorre la produzione ceramica di Fontana, toccando due continenti e quattro decenni cruciali, e intrecciando cronologia e temi scultorei in un racconto inedito e dinamico. La sua produzione proteiforme spazia dalle sculture figurative a forme radicalmente astratte, specchio dei diversi contesti storici, sociali, politici e geografici in cui Fontana visse e operò. Il percorso espositivo prende avvio da un’opera realizzata al suo ritorno in Argentina nel 1926, Ballerina di Charleston, dopo il trauma della Prima guerra mondiale combattuta da giovane insieme agli altri “ragazzi del ’99”. Da qui si prosegue nell’Italia del periodo fascista, dove, nei primi anni Trenta, l’artista crea piccole terrecotte intime, non smaltate e con leggeri tocchi di colore, come Ritratto di bambina (1931) o Busto femminile (1931), per poi approdare alla stagione degli straordinari esperimenti con gli smalti, resa possibile grazie alla collaborazione con gli artigiani di Albisola. A questo periodo appartengono opere affascinanti quali Coccodrillo (1936-37), Medusa (1938-39), Donna seduta (1938) e il maestoso Torso Italico (1938). Durante la Seconda guerra mondiale Fontana torna nuovamente in Argentina, dove continua a lavorare la ceramica, per poi rientrare ancora una volta nell’Italia del dopoguerra. Qui, la ricostruzione del Paese e il boom economico si intrecciarono con la sua produzione ceramica che si espande, iniziando un proficuo dialogo con il mondo del design. Fontana realizza piatti, crocifissi, forme astratte, tutte opere che indagano le origini stesse dell’antica pratica della ceramica. Una sala è poi dedicata ai ritratti più personali delle figure femminili che fecero parte della sua vita, testimonianza dell’intima relazione che Fontana ebbe tanto con le donne da lui ritratte – dalla moglie Teresita Rasini, alla scrittrice e intellettuale Milena Milani, unica donna firmataria del Manifesto dello Spazialismo, alla ceramista Esa Mazzotti – quanto con la materia. La mostra mette in risalto la forza materica della creta, liscia, ruvida, incisa, grezza, dipinta, smaltata, tagliata, bucata, e l’innovativa capacità di Fontana di intrecciare i linguaggi dell’arte e dell’artigianato, del design e della manualità. Non mancano fotografie d’archivio che ritraggono Fontana al lavoro, testimonianza di un artista collaborativo, profondamente in sintonia con materiali, processi, persone e luoghi. Ad accompagnare l’esposizione, un cortometraggio inedito, Le ceramiche di Lucio Fontana a Milano, appositamente commissionato e realizzato dal regista argentino Felipe Sanguinetti. Concepito come parte integrante del percorso espositivo, il film conduce il pubblico in un viaggio cinematografico attraverso diversi luoghi della città di Milano, dal Cimitero Monumentale all’Istituto Gonzaga, Fondazione Prada, Villa Borsani, Chiesa di San Fedele, Museo Diocesano, per raccontare le opere ceramiche che Fontana realizza grazie alla collaborazione con importanti architetti italiani, tra cui Osvaldo Borsani, Roberto Menghi, Mario Righini, Marco Zanuso. Tutti interventi site-specific, integrati nel tessuto architettonico e urbano della città, che non hanno potuto essere fisicamente trasportati nelle sale museali, ma che rivivono grazie alle immagini potenti e affascinanti di questo film, fruibile negli spazi antistanti la mostra. “Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana” invita il pubblico a riconsiderare Fontana non solo come pioniere dello Spazialismo e dell’arte concettuale, ma come scultore, un artista profondamente legato alla materia, attento al potenziale tattile ed espressivo della creta. La mostra vuole inoltre sollevare nuove questioni di ordine storico, materiale e tecnico sulla sua pratica ceramica, che un critico dell’epoca definì come la sua “altra metà” e “seconda anima”. In contrasto con l’immagine consolidata di Fontana come figura ipermaschile ed eroica che taglia le sue tele con un cutter, l’esposizione rivela un lato più informale, profondo e collaborativo dell’artista, radicato nella fisicità morbida dell’argilla e plasmato da relazioni durature, come quella con il ceramista e poeta Tullio d’Albisola e la manifattura ceramica Mazzotti di Albisola. Come afferma la curatrice: “L’argilla emerge come un contenitore di sperimentazione vitale, di molteplicità e fertilità”. La mostra sarà accompagnata da un catalogo illustrato, pubblicato da Marsilio Arte, che include nuovi saggi critici della curatrice Hecker, e di Raffaele Bedarida, Luca Bochicchio, Elena Dellapiana, Aja Martin, Paolo Scrivano, Yasuko Tsuchikane, tutti dedicati alla pratica ceramica di Fontana e ai suoi contesti storici, sociali e culturali. Completa l’esposizione un articolato programma di attività collaterali gratuite, volte ad approfondire e interpretare la pratica e il linguaggio visivo dell’artista, realizzate grazie alla Fondazione Araldi Guinetti, Vaduz. “Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana” è sostenuta da Bottega Veneta. (gci)
"ALAIA E BALENCIAGA. SCULTORI DELLA FORMA" ARRIVA A PRATO
In occasione del suo cinquantesimo anniversario la Fondazione Museo del Tessuto di Prato, in collaborazione con la Fondazione Azzedine Alaia di Parigi, annunciano la mostra "Alaia e Balenciaga. Scultori della forma", un progetto espositivo speciale dedicato a due icone assolute della moda francese, per la prima volta in Italia a ottobre. L’esposizione sarà visitata dal 25 ottobre al 3 maggio 2026. La mostra – curata da Olivier Saillard e presentata alla Fondation Azzedine Alaia nel 2020 – arriva per la prima volta in Italia al Museo del Tessuto di Prato mettendo a confronto la creatività dei due couturier grazie a un nucleo di cinquanta abiti provenienti dalla Fondazione Azzedine Alaia con documenti e video originali dell’Archivio Balenciaga. L’omaggio alla storia della moda con Cristobal Balenciaga e Azzedine Alaia prosegue idealmente lo studio del Museo del Tessuto iniziato con Gianfranco Ferrè (2014) e Walter Albini, padre del pret-a-porter italiano (2024) e gli inglesi Ossie Clark e Celia Birtwell (2022), protagonisti della scena londinese degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. (gci)
A CASTELFRANCO VENETO (TV) L’ESPOSIZIONE “PORTOFRANCO”
Dopo due anni di ricerca e di dialogo con artisti italiani e internazionali con l’obiettivo di dare vita a un ecosistema culturale multidisciplinare e partecipativo, dal 15 novembre al 14 febbraio 2026 apre negli spazi ritrovati di Palazzo Soranzo Novello a Castelfranco Veneto (TV) la mostra “PORTOFRANCO” a cura di Rossella Farinotti, con il patrocinio della Regione Veneto, promossa e realizzata da NOT Titled YET in collaborazione con il Comune di Castelfranco Veneto e con il contributo di Camera di Commercio di Treviso-Belluno. Ex dimora settecentesca e successivamente sede bancaria fino agli anni Duemila, Palazzo Soranzo Novello si offre al pubblico nella sua duplice natura: spazio sospeso tra memoria e reinvenzione, tra atmosfere barocche e suggestioni moderniste, tra saloni veneziani e ambienti plasmati dall’estetica degli anni Settanta. Questo gioco di riflessi e contrasti, tra antico e contemporaneo, costituisce il filo conduttore della mostra, incarnato nel tema del doppio, che ritorna tanto nella storia architettonica quanto nelle opere esposte. Il percorso si articola lungo gli ampi spazi di accesso e i tre piani del Palazzo e si accompagna a un public program che prevede talk, performance, laboratori, percorsi di accessibilità, residenze e collaborazioni con realtà artigiane ed eccellenze locali. Attraverso le opere di 22 artisti – alcune appositamente concepite per l’occasione – “PORTOFRANCO” restituisce al pubblico un luogo dalla storia stratificata, che dal Medioevo al 2017 (anno in cui la banca è fallita) ha custodito infinite vicende e identità, e che oggi si rigenera come laboratorio culturale in evoluzione, pronto ad accogliere il futuro Museo Civico di Castelfranco Veneto. “Partire dal luogo è il modo operativo necessario e dovuto per questa esperienza di ‘PORTOFRANCO’ - dice Rossella Farinotti, curatrice del progetto espositivo - Quando sono stata chiamata dal Comune per visitare gli spazi del Palazzo, abbandonato da dieci anni, è stato immediatamente naturale che il puzzle del percorso espositivo dovesse partire dai dettagli estetici, dai rimandi storici (non solo della storia antica del luogo, ma dalle storie che si sono incrociate tra queste mura) di narrazioni, di tracce, di memorie, di possibilità, di ritorni, di suggestioni. ‘Suggestione’ è uno dei concetti chiave per affrontare la mostra”. Le opere costruiscono una narrazione corale, un’esperienza immersiva, che attraverso molteplici linguaggi – pittura, installazione, scultura, video, fotografia, performance – e una relazione diretta con il luogo, esplorano i temi della memoria, della trasformazione, del rapporto tra spazio intimo e collettivo, tra eredità storica e immaginazione futura. Dai lavori di giovani emergenti ad autori internazionali dalla carriera consolidata, il progetto invita il pubblico a un’esperienza costantemente segnata dalla dualità, riflesso non solo nella storia e nelle stratificazioni del Palazzo, ma anche nella visione unitaria del progetto curatoriale e nella lettura autonoma di ciascuna opera. Particolarmente significativi sono gli interventi di artisti che hanno deciso di misurarsi con gli spazi più emblematici dell’edificio: Maurizio Cattelan realizza due installazioni site-specific allestite in luoghi e anfratti connotati, oltre a una emblematica e ironica scultura da trovare nelle sale settecentesche; Adam Gordon con un grande dipinto che raffigura una presenza surreale e inquieta, introduce una tensione che si bilancia con la seria ironia di Thomas Braida, capace di trasformare un paesaggio apparentemente classico in un’immagine monumentale e dissacrante; Silvia Mariotti frammenta gli ambienti includendo la natura come soggetto di riappropriazione, mentre le fotografie di Guido Guidi, attente al territorio della Castellana, diventano tracce visive nel percorso. Si aggiungono le opere di Silvia Negrini, piccoli dittici realizzati ex-novo con la tecnica dell’incisione, che guidano il visitatore da una sala all’altra, i lavori di Marco Bongiorni, che rievocano atmosfere sedimentate nella storia recente del luogo e, attorno a loro, opere di artisti come Vincenzo Agnetti, Rachele Calisti, Flavio Favelli, Agata Ferrari Bravo, Anna Galtarossa, Goldschmied & Chiari, Agnese Guido, Duane Hanson, Sacha Kanah, Francesca Mirabile, Marta Ravasi, Fabio Roncato, SC_NC, Raoul Schultz e Zoe Williams animano gli spazi del Palazzo per tre mesi, andando a costruire una comunità d’arte temporanea. Grazie a una serie di progetti speciali realizzati da Daniele Costa, Alice Ronchi, Thyself Agency, VENERDISABATO e Alberto Zanetti, “PORTOFRANCO” si propone come tappa di un percorso volto a fare di Castelfranco Veneto un punto di riferimento per l’arte contemporanea, in cui quest’ultima dimostra tutto il suo potenziale di strumento di lettura, rigenerazione e attivazione dei contesti. (gci)
ROMA, L’ARTE INCONTRA I SUPEREROI
Un racconto visivo che rovescia prospettive e ribalta convenzioni, un viaggio nel cuore dell’immaginario collettivo per restituirci una nuova idea di eroismo: è questa l’essenza di “Supereroi – Estetica dell’ordinario”, la mostra fotografica di Piergiorgio Pirrone che inaugura il 24 ottobre presso la Galleria Plus Arte Puls di Roma. La mostra sarà visitabile fino al 30 ottobre. Il progetto, a cura di Claudio Crescentini, nasce dal desiderio di indagare la figura del supereroe contemporaneo spogliandola del suo mito di perfezione e restituendola alla sua dimensione più umana, fragile e quotidiana. Attraverso un linguaggio fotografico potente, evocativo e profondamente personale, Pirrone mette in scena un universo dove i simboli della cultura pop – da Batman e Robin a Superman, da Hulk a Spider-Man – abbandonano il piedistallo dell’invincibilità per diventare personaggi vicini, riconoscibili, quasi familiari. Nelle sue immagini, Batman e Robin non sono più soltanto paladini della giustizia ma diventano una famiglia alle prese con le sfide della vita di tutti i giorni; Hulk non è più una massa incontrollabile di rabbia ma un individuo che esplora la propria vulnerabilità; Superman smette i panni del salvatore per mostrarsi come un uomo innamorato, attraversato da dubbi, passioni e fragilità. Questa rilettura poetica e concettuale sposta il baricentro dell’eroismo: non più l’invulnerabilità come cifra del potere, ma la vulnerabilità stessa come forma autentica di forza. Pirrone invita così il pubblico a riconoscere nell’eroe non il mito distante, ma il riflesso di noi stessi, delle nostre incertezze e del nostro coraggio quotidiano. In ogni scatto, il quotidiano si trasforma in un luogo di meraviglia: cucine e salotti, angoli domestici e frammenti di intimità diventano palcoscenici su cui le icone dell’immaginario collettivo rivelano un’inedita umanità. Il progetto si arricchisce inoltre di una fitta rete di rimandi culturali e artistici: dalle citazioni filmiche e musicali ai riferimenti alla cultura gender, fino ai dialoghi con la storia dell’arte. Di forte impatto, ad esempio, è la rilettura del Cenacolo di Leonardo da Vinci, reinterpretato in chiave pop attraverso i gesti e le presenze dei supereroi. Questi riferimenti non sono meri esercizi stilistici, ma strumenti per creare connessioni tra linguaggi apparentemente lontani e costruire un ponte tra la cultura popolare e quella classica, tra il mito contemporaneo e la tradizione iconografica. Ogni immagine di Pirrone è il risultato di un processo creativo autentico, privo di interventi artificiali o tecnologie di generazione automatica. Le scene sono realizzate in ambienti reali, spesso familiari, con fondali monotinta o fotografie scattate dallo stesso artista durante i suoi viaggi – dalla Groenlandia a New York, da Zara alla quotidianità più intima – e intrecciano l’immaginario collettivo con l’esperienza personale, restituendo alle immagini un valore di verità e profondità emotiva. “Con ‘Supereroi – Estetica dell’ordinario’ ho voluto esplorare la natura profonda di questi personaggi che hanno popolato i nostri sogni e la nostra cultura, andando oltre la loro immagine invincibile e apparentemente perfetta. Ho cercato di raccontarli come esseri umani, con le loro fragilità, le loro paure e i loro sentimenti, perché credo che la vera forza risieda nella capacità di accogliere la vulnerabilità e di riconoscerla come parte integrante della nostra identità. Ogni fotografia è una storia a sé, un frammento di quotidianità in cui i supereroi si mescolano al nostro mondo e diventano parte del nostro vissuto. Ho scelto di lavorare con scatti autentici, senza avvalermi dell’intelligenza artificiale, per restituire verità e immediatezza a queste immagini, che nascono da luoghi reali e da esperienze personali. L’obiettivo è invitare il pubblico a scoprire i supereroi che abitano il nostro quotidiano, quelli nascosti nelle piccole cose che rendono straordinaria ogni giornata”, afferma Piergiorgio Pirrone. “Negli anni Settanta si gridava ‘L’immaginazione al potere’. Oggi, grazie al progetto artistico di Piergiorgio Pirrone, possiamo ridefinire questo concetto come ‘Al potere con l’immaginazione’, per l’immaginario e l’immaginifico. Pirrone ci presenta una galleria di super-eroine e super-eroi inseriti nel loro habitat più intimo, domestico, tra citazioni filmiche e pittoriche, suggestioni musicali, riflessioni sulla cultura gender e provocazioni pop. Tutto questo con un uso potente e originale del mezzo fotografico, per esprimere l’ordinario nello straordinario e raccontare una nuova estetica del contemporaneo”, prosegue il curatore della mostra Claudio Crescentini. “Supereroi – Estetica dell’ordinario” è dunque molto più di una mostra fotografica: è un invito a ripensare il concetto stesso di eroismo, a riconoscere che la forza non risiede nella perfezione ma nella nostra capacità di affrontare con coraggio la complessità dell’esistenza. È un viaggio poetico e ironico nell’immaginario pop, ma anche un’indagine intima e profonda sull’umanità nascosta dietro ogni maschera. La mostra ha ricevuto il ricevuto il supporto di FUIS, Federazione Unitaria Italiana Scrittori e di Chiavi di Roma Immobiliare. La stampa Fine Art è di Francesca Rosini. (gci)
NELLA FOTO. Tremori sotto la pelle, Anne Cecile Surga, a cura di Julia Rajacic, Palazzo Stelline 2025 - Foto di Daniele Cortese