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L’APPELLO PER IL SUDAN:
ITALIA E UE AGISCANO

 L’APPELLO PER IL SUDAN: <br> ITALIA E UE AGISCANO

Un appello dal mondo dell’informazione missionaria, raccolto dalla politica: iniziare a parlare di Sudan, e premere sui governi europei, e su quello italiano in primis, per un intervento immediato. L’iniziativa parte da Brando Ricci, giornalista di Nigrizia, e arriva all’indomani della presa di Al Fasher da parte della RSF e la dichiarazione di carestia a Kaduqli, con la violenza non accenna a diminuire nel Paese africano, dilaniato dalla lotta per il potere tra l’esercito regolare e le Rapid Support Forces foraggiate dagli Emirati Arabi, e che tra rifugiati e sfollati mette a rischio l'intera regione, mentre già si parla di “disastro di scala ruandese”, con il rischio di un genocidio che potrebbe essere evitato solo con l’attivazione di azioni internazionali urgenti. Nel corso di una conferenza stampa alla Camera, sono emersi numerosi interventi critici verso l’atteggiamento della comunità internazionale, accusata di non aver fatto nulla fin qui per sostenere l’emergenza. Mauro Garofalo, della comunità di Sant'Egidio, ha parlato della crisi come "la più grave in termini numerici", sottolineando che "l’impotenza della comunità internazionale deve finire o diventa colpevolezza". Secondo Garofalo, l’Italia non può ignorare che il Sudan ha un potere di contaminazione per l’intera regione, come dimostrato dai flussi di sfollati in Ciad e in Libia, e deve agire immediatamente con strumenti umanitari. Laura Boldrini, ex presidente della Camera dei deputati, ha espresso preoccupazione per l'approccio del governo italiano verso le crisi africane: "Non possiamo trascurare la situazione in Sudan e in altri Paesi del continente. Il governo italiano sembra non avere una posizione politica chiara sull’Africa: lo stesso Piano Mattei è business, non una politica di solidarietà", ha dichiarato Boldrini, evidenziando la necessità di un intervento più deciso da parte dell'Italia.

Un tema centrale emerso durante gli interventi è stato il commercio di armi, che continua a alimentare il conflitto in Sudan. Marco Tarquinio, europarlamentare, ha invitato a indagare sulla filiera delle armi, sottolineando la responsabilità dell'Europa e dei suoi Stati membri. “Cercate la filiera delle armi e capirete cosa sta accadendo", ha detto, rimarcando l’inerzia della comunità internazionale nella gestione della crisi. Nonostante l’embargo dell’Unione Europea sulle armi destinate al Sudan, Francia e Regno Unito continuano ad avere legami economici e politici con le forze in conflitto, inclusi i gruppi che sostengono le Forze di Supporto Rapido (RSF). Secondo Adam “Bosh” Nor Mohamed, attivista della comunità sudanese in Italia, “il Sudan non fa notizia perché è un Paese isolato, dove la comunicazione è interrotta e la violenza diffusa”. Ma in questo “l’Italia può e deve avere un ruolo diretto: può fermare il commercio di armi verso il Sudan, aprire corridoi umanitari per i profughi e sostenere gli studenti sudanesi che non riescono più a studiare per la guerra”. Anche Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico e già responsabile esteri, ha richiamato l’Italia alle proprie responsabilità: “L’Europa non può voltarsi dall’altra parte davanti a un nuovo genocidio annunciato. L’Italia deve usare la propria voce nei consessi internazionali per chiedere un cessate il fuoco e garantire aiuti umanitari. È in gioco la credibilità della nostra politica estera”. Le proposte per l’Italia non mancano. La politica estera italiana dovrebbe concentrarsi non solo sull’emergenza umanitaria, ma anche sull’attivazione di un piano di giustizia internazionale. Graziano Delrio, ex ministro delle Infrastrutture, ha suggerito che la crisi sudanese possa segnare "l'inizio di una nuova consapevolezza" per il governo italiano, che deve affrontare le proprie responsabilità internazionali.

(Sis)

 

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