“In Darfur è in corso un genocidio, un vero genocidio. Presso i Nuba c'è una carestia organizzata, un'epurazione etnica lenta, ostinata, spietata. Nel resto del Paese sono in corso stermini di massa, stupri in serie. Intere città di una delle civiltà più antiche del mondo, ancora più antica di quella egiziana, sono spazzate via dalla cartina geografica, sono saccheggiate sistematicamente. Eppure, anche in questo caso, silenzio. Il mondo ha gli occhi puntati su Gaza, su un'occupazione immaginaria, un genocidio di propaganda, una carestia orchestrata da Hamas”. Lo scrive il filosofo Bernard-Henri Levy in un intervento su La Stampa che si era aperto ricordando un’altra “guerra dimenticata”, gli stermini in Nigeria dei cristiani ad opera dei Fulani, alleati a Boko Haram, affiliato a sua volta allo Stato Islamico. “Di fronte a Khartoum rasa al suolo, alle testimonianze dei sopravvissuti che raccontano le atrocità commesse dai miliziani del generale ribelle Hemetti; di fronte alle immagini di fosse comuni che scatta il mio compagno di viaggio, il fotografo Marc Roussel; di fronte all'assedio medievale di El-Fasher che si conclude con esecuzioni di massa la cui barbarie va al di là di ogni immaginazione; di fronte a questa guerra che stermina più di tutte le guerre in Medio Oriente messe insieme; di fronte alla “più grande crisi umanitaria del mondo”, secondo le parole stesse dell'Onu; di fronte a una carestia vera, non si vedono proteste nelle piazze, nemmeno una manifestazione nelle università, nessuno sventolio di bandiere, nessun grido, nessuna marcia commemorativa. Niente. Alcuni musulmani stanno massacrando altri musulmani. Non c'è modo di coinvolgere Israele in questo abominio. "No Jews, no news". Se non ci sono di mezzo gli ebrei, non fa notizia. Dopo, però, sarà per effetto del cessate il fuoco a Gaza? Sarà che lo "spettacolo integrato" si stanca di tutto, perfino di demonizzare gli ebrei? Sarà che la testardaggine dei testimoni viene ripagata, alla fine, e l'evidenza dell'orrore si impone anche alle persone più cieche? Sta di fatto che, da alcune settimane, forse alcuni giorni, si osserva un sussulto, un accenno di risveglio, un lieve, lievissimo movimento di anime e di cuori. È come se lo spirito di questo mondo - intorpidito da mesi di indignazione selettiva - accettasse di riaprire gli occhi. Ed è come se l'Occidente volesse ricordare una buona volta che esistono altri inferni, altri popoli straziati, altri volti di bambini affamati che nessuno schermo mostra. Lo ripeto: si tratta soltanto di un vago palpito. Di un lieve sussulto. Non si sono ancora viste sventolare bandiere sudanesi o nigeriane in testa a cortei di manifestanti indignati a New York, Roma o Parigi. Ma, per quanto riguarda la Nigeria, i giornali americani stanno scoprendo Kaduna e Jos; il Congresso si scuote; il presidente Trump, impulsivo e assordante, evoca tra due battute sui social l'idea di un intervento militare. Per quanto riguarda il Sudan, si percepisce disagio, un brivido, una curiosità che torna, un editoriale qui, una trasmissione televisiva là, alcuni tweet di Ong francesi che iniziano a parlarne a turno, reporter coraggiosi che riprendono la strada per Porto Sudan e El-Fasher. Ed ecco che queste due guerre dimenticate, uscite dai radar, tornano a infiltrarsi nelle conversazioni, a mescolarsi ai dibattiti e a imporsi, anche solo per un istante, alla coscienza universale. La Storia non è mai scritta. Vi è sempre una buona ragione, al di là di ogni ragione, per sperare in bene. Da parte mia, continuo a combattere”. (9 nov – red)
(© 9Colonne - citare la fonte)



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