A Verona la scelta della Fondazione Arena di sospendere l’esibizione del basso russo, Ildar Abdrazakov, nell’opera don Giovanni in programma a gennaio nel teatro Filarmonico impone alcune riflessioni, perché perfettamente coerente con la “città che si basta”, come viene definita in stile tacitiano e nello stesso tempo esaustivo dal sindaco Damiano Tommasi.
Innanzitutto la decisione non è accompagnata, almeno non è riportata, da alcuna spiegazione da parte di chi l’ha presa. Il solito “quia” e mai un “quod”, come è costume di tutte le Istituzioni veronesi. I giornali riportano quella del ministro della cultura, che è un’aggravante per la scelta sbagliata della Fondazione, viste le motivazioni che adduce. Tra l’altro fa riferimento a motivi di sicurezza , pur escludendoli.
Sarebbe come espellere, come di fatto avvenne all’inizio, Herbert von Karajan dalle esibizioni, perché aveva aderito al partito nazista e, pur “denazificato”, ne rimase nostalgico. L’arte trascende le opinioni personali, in modo particolare se a realizzarla non è l’autore dell’opera come nel caso del Filarmonico. A questo proposito sarebbe opportuno leggere alcune riflessioni , tratte dall’opera “Lo spirito della liturgia”, di un veronese illustre, Romano Guardini, di cui Verona “si basta”, appunto, di possedere il certificato di battesimo.
“…Col passare degli anni l’uomo …constata quanto di rado egli è veramente ciò che dovrebbe e vorrebbe essere. Questa contraddizione tra ciò che egli potrebbe essere e quello che è in realtà, cerca di superarla in un altro ordine di realtà, nel mondo irreale dell’immaginazione, nell’arte. Nell’arte l’uomo cerca di ristabilire l’unità tra ciò che vuole e ciò che ha; tra ciò che dev’essere e ciò che è…tali sono le creazioni dell’arte. Non hanno dunque alcuno scopo istruttivo, non mirano a insegnare determinate verità o virtù. Nessun artista si è mai proposto questo. Nell’arte l’artista non mira ad altro che a risolvere questa tensione interiore…”.
Come spesso accade, quando si decide in base a valutazioni basate esclusivamente su autoconvincimenti domestici, si realizza quello che si voleva evitare. Qui la guerra non c’entra, c’entra il putinismo, che non ha colore: impedire che qualcuno la pensi diversamente da chi ha il potere. La mancanza, finora, di dissociazione dalla scelta della Fondazione di chi ufficialmente la pensa diversamente, avendo per questo ottenuto lauti posti di sottogoverno, conferma la constatazione.




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