Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Libri, alla Camera il caso Saman Abbas raccontato da Giammarco Menga

Roma, 13 nov - “Saman ha pagato con la vita il suo desiderio di essere una ragazza libera, una donna libera. Ma quello che abbiamo evidenziato è che si parla sempre di femminicidio legato a rapporti di matrimonio, a rapporti di convivenza, di ex-convivenza tra un uomo ed una donna. Qui invece la mano che ha colpito Saman è la mano soprattutto di una madre che l'ha portata alla morte”. Così Martina Semenzato, presidente Commissione femminicidio, che alla Camera ha promosso la presentazione del libro di Giammarco Menga "Il delitto di Saman Abbas. Il coraggio di essere libere". Siamo a Novellara, nel reggiano, nella notte tra il 30 aprile e il 1º maggio 2021. La telecamera di un’azienda agricola inquadra una ragazza che esce di casa. Un’ora prima era stata ripresa nello stesso punto, con il velo a coprirle il capo e una tunica che le arrivava alle ginocchia. Adesso, invece, indossa dei jeans, scarpe da tennis e una giacca in pelle. Dietro di lei camminano a passo spedito i suoi genitori. Cinquantotto secondi dopo, l’occhio elettronico riprende la madre che rientra in casa, seguita dal marito. Nessuna traccia della ragazza: il suo corpo senza vita sarà ritrovato un anno e mezzo dopo, a pochi passi da lì. Aveva appena diciotto anni. La madre, Nazia Shaheen, è stata arrestata il 31 maggio 2024 in Pakistan, in un villaggio al confine con il Kashmir. La donna è stata quindi trasferita a Islamabad per formalizzare il processo di estradizione, ed è giunta in Italia il 22 agosto 2024. Il 18 aprile 2025 il processo di appello si è concluso con la conferma dell'ergastolo per i genitori, l'innalzamento della condanna a 22 anni per lo zio Danish Hasnain, e la condanna all'ergastolo per i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, precedentemente assolti. “Quindi questo femminicidio, l’uccisione di questa giovane donna – aggiunge la parlamentare - colpisce ancora di più, perché la famiglia dovrebbe essere il luogo della serenità, della tranquillità, degli affetti, dove tu trovi ristoro dalle tue paure e non invece il luogo dove poi tu vieni uccisa. Ma tu vieni uccisa perché volevi essere una donna libera. Quindi – sottolinea Semenzato - abbiamo parlato anche di reati culturalmente orientati, del fatto che le donne italiane oggi denunciano fortunatamente di più, che sono aumentati, triplicati gli ammonimenti del questore, che oggi i femminicidi, sui dati da gennaio a settembre 2025, segnano un meno 8%, ma dall'altra parte dobbiamo ovviamente tenere in considerazione che c'è ancora un sottobosco di reati culturalmente orientati che non emergono. Non emergono perché non c'è integrazione, perché queste donne magari non sono a conoscenza delle tante leggi che possono affrontare la violenza di genere e la loro libertà, perché magari hanno difficoltà con la lingua, perché magari non accedono ai processi di educazione scolastica, come abbiamo sentito per Saman, perché non riescono a confrontarsi con un centro antiviolenza oppure con le forze di polizia. È un tema che dobbiamo affrontare perché l'integrazione passa anche attraverso la libertà delle donne”.
“La cosa a cui tengo di più, la dedica l'ho fatta proprio in coda al libro – racconta l’autore - è dare coraggio alle Saman che si possono ancora salvare, ma poi effettivamente per farlo bisogna sensibilizzare chi sarà uomo e chi sarà donna del domani. Per me portare Saman nelle scuole significa farla rivivere lì nelle aule dove le è stato impedito di andare, perché io rimango convinto che con una istruzione più capillare e con la possibilità di andare a scuola lei avrebbe avuto quegli strumenti di percezione, evidentemente anche per capire che quel pericolo poteva venire da chi teoricamente o naturalmente dovrebbe proteggerti. Invece – continua Menga - lei è tornata in quella che ho definito la ‘tana del lupo’ non pensando che una famiglia, due genitori potessero arrivare ad ucciderla, anzi un clan intero che ha deciso per il singolo, tant'è che la storia di Saman per me è simbolica perché è un femminicidio atipico, dove è un collettivo che decide per il singolo, è un intero clan che ha deciso che quella ragazza andava soppressa, in nome dell'onore e contro che cosa? La voglia, l'anelito di libertà di questa ragazza che ha urlato fino alla fine, fino a quell'ultimo metro percorso da ‘italian girl’, vestita all'occidentale come voleva essere”. (PO / Roc)

(© 9Colonne - citare la fonte)