Il presidente statunitense Donald Trump sta valutando la possibilità di aprire un canale di dialogo con il leader venezuelano Nicolás Maduro, ma contemporaneamente il massiccio rafforzamento delle forze Usa nei Caraibi alimenta sempre di più il rischio di un intervento armato. “Il Venezuela vorrebbe parlare. Potremmo avere delle discussioni”, ha affermato il presidente domenica sera, pur continuando ad accusare Maduro di guidare il Cartel de los Soles, presunta organizzazione di narcotraffico indicata da Washington come legata ai vertici politici e militari di Caracas. La dichiarazione arriva dopo settimane di tensioni crescenti nella regione. Gli Stati Uniti hanno dispiegato una flotta significativa – una dozzina di navi da guerra, un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare, una nave per Operazioni Speciali – oltre alla portaerei USS Gerald R. Ford con tre navi di scorta e più di 4.000 militari. Le forze statunitensi hanno inoltre condotto operazioni letali contro imbarcazioni accusate di narcotraffico, autorizzato azioni coperte dell’intelligence e lasciato intendere la possibilità di attacchi via terra. Il Dipartimento di Stato ha annunciato domenica l’intenzione di designare formalmente il Cartel de los Soles come organizzazione terroristica straniera a partire dal 24 novembre, dopo che già a luglio l’amministrazione lo aveva inserito nella lista dei gruppi terroristici globali designati. Secondo Washington, il cartello – composto da alti ufficiali venezuelani, attivo dagli anni ’90 e riconosciuto ufficialmente dal Dipartimento di Giustizia nel 2020 – sarebbe guidato da Maduro e dal suo potente alleato Diosdado Cabello. Gli USA offrono fino a 50 milioni di dollari per informazioni utili alla loro cattura.
Sul fronte politico-militare interno, fonti citate dal Washington Post riferiscono che i vertici dell’amministrazione – dal vicepresidente JD Vance al segretario alla Difesa Pete Hegseth, fino al capo degli Stati maggiori riuniti Dan Caine e al segretario di Stato Marco Rubio – stanno valutando diverse opzioni operative per colpire in Venezuela. Trump ha confermato di aver informato il Congresso delle possibilità allo studio, precisando però di non ritenere necessaria un’autorizzazione parlamentare: “Stiamo impedendo agli spacciatori e alla droga di entrare nel nostro Paese”. Un eventuale intervento armato rischierebbe tuttavia di rompere le precedenti promesse del presidente di evitare nuovi conflitti e potrebbe deteriorare ulteriormente i rapporti con i governi latinoamericani. Alcuni Paesi hanno già reagito duramente: il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato la volontà di sospendere la condivisione di informazioni di intelligence con Washington, mentre la Repubblica Dominicana ha rinviato il Summit delle Americhe dopo il ritiro di Trump, sottolineando che le attuali “profonde divisioni” impediscono un dialogo produttivo. Mentre il dispiegamento militare prosegue, la prospettiva di un contatto diplomatico con Caracas convive quindi con l’ipotesi – sempre più concreta – di un’escalation armata. Un equilibrio fragile, in un contesto regionale che guarda con crescente preoccupazione ai movimenti delle ultime settimane.
(Sis)
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