Il Giappone è certamente conosciuto come potenza economica di primo piano e anche come società organizzata, efficiente, tecnologizzata. Nel settore del controllo sociale, di polizia e dell’amministrazione della giustizia si registrano alcuni record positivi: un tasso di criminalità molto basso; una percentuale di risoluzione dei casi giudiziari del 60%; una rete fittissima di stazioni di polizia, capaci di intervenire sul luogo della chiamata in un tempo medio di pochi minuti; un sistema scolastico di buon livello; un reddito pro capite tra i più elevati al mondo ( il 90% delle famiglie appartiene alla classe media).
Questo quadro ideale, nel 1995, ricevette una scossa devastante in conseguenza del terremoto di Kobe (cinquemila morti) che mise a nudo le conseguenze tragiche di una corruzione diffusa nel settore delle costruzioni, crollate come castelli di carte mentre avrebbero dovuto resistere alla violenza del sisma. Quei dati rassicuranti sopra indicati non potevano coprire la presenza nella realtà giapponese di un’imponente rete di organizzazioni criminali conosciute genericamente con il nome di Yakuza le cui origini risalgono addirittura al Medioevo.
Gli antenati degli Yakuza erano i giocatori d’azzardo (bakuto) o i venditori ambulanti (tekija) che frequentavano le case da gioco. Fino a una trentina di anni fa l’appartenenza a tali organizzazioni non era affatto clandestina; era anzi un segno di orgoglio personale appuntare il loro distintivo sulla giacca e le singole organizzazioni avevano uffici con l’emblema della banda sulla porta,come le normali associazioni di altro genere. Si arrivò, in un caso, persino ad una conferenza stampa che annunciava la fine di una guerra tra bande, con tanto di scuse per il disturbo arrecato ai cittadini.
Solo nella primavera del 1991 una legge anticrimine fugò l’equivoco che faceva somigliare i clan ad associazioni con scopo solidaristico. La nuove norme costrinsero le organizzazioni a ricorrere a uffici di copertura (per lo più società commerciali).
Da alcuni anni, accanto al modello verticistico-familiare ( simile a quello della mafia siciliana), si è andato affermando quello federativo, cioè l’alleanza tra più gruppi o famiglie, più adatto alle esigenza di una società avanzata in cui devono operare entità di dimensioni più ampie con capacità d’interevento variegate e sofisticate. Un esempio di questa evoluzione è rappresentato dalla Inagawakai, una delle più potenti organizzazioni criminali del paese, di cui sono emerse infiltrazioni nel campo della politica e dell’ economia attraverso una indagine della polizia di alcuni fa che scoprì un giro d’affari per centinaia di migliaia di dollari con le principali banche e società assicuratrici, per complicati investimenti immobiliari e azionari ( nella indagine risultarono implicati personaggi del mondo politico americano tra i quali il fratello del presidente Bush, utilizzato come consulente di una società controllata dal boss giapponese Susumi Ishimii).
Consistente la presenza della Yakuza a livello internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale membri della Yakuza sono sbarcati alle Hawaii e nei paesi della costa orientale statunitense; più tardi hanno impiantato basi nel Sud-est asiatico, nelle Filippine,in Australia. Risalirebbe al 1983 la penetrazione della Yakuza in Thailandia, a Bangkok, determinando le ostilità della “filiale” thailandese delle Triadi cinesi con una guerra vera e propria, con case da gioco controllate dai giapponesi fatte saltare in aria o incendiate. Più recentemente, accanto alla storica mafia nipponica, si sono evidenziate alcuni gruppi criminali “fluidi” composti in prevalenza da giovani esperti in informatica per i quali è stato coniato il termine Tokuryu dalle parole tokumei (anonimo) e ryudo (fluido).
Nei confronti del mercato degli stupefacenti il Giappone ha un approccio molto rigido e inflessibile con una legislazione antidroga tra le più severe al mondo (il consumo personale è punito con la reclusione fino a 10 anni più lavori forzati e con l’ergastolo per traffico di quantità di droghe rilevanti). Modesti i quantitativi di droghe pesanti sequestrati annualmente mentre la cannabis ha un discreto mercato (ad agosto 2025 in un deposito di Tochigi, a nord di Tokyo, la polizia ha intercettato un carico di 1,046 tonnellate di cannabis, il più grande sequestro effettuato nel Paese).




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