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Quel 'non detto'
su Putin e l’Italia

Quel 'non detto' <br> su Putin e l’Italia

di Salvatore Tropea

Ha destato e continua a destare sorpresa l’attacco di Putin all’Italia e questo succede a causa di un “non detto” che continua a vagare, come la shakespeariana “ombra di Banco” del Macbeth, una reticenza su alcuni punti i quali sono a ben vedere la porta d’ingresso nell’area grigia del “né né”. In questo “non detto” c’è il disappunto crucciato del dittatore russo nei confronti di un paese nel quale fino alla caduta del Muro di Berlino ha prosperato il più forte partito comunista d’Europa e dove, dopo la dissoluzione dell’Urss, c’è stata una corsa ad accattivarsi le simpatie dell’uomo che sarebbe diventato un inquilino fisso del Cremlino. Con l’aggiunta che in questa corsa si sono messi in grande evidenza non tanto i vecchi compagni, come si sarebbe portati a credere, ma politici dell’area storicamente avversa all’’orientamento comunista. Per dire uomini come Berlusconi, Salvini e non solo loro, tutti impegnati a spiegarci che Putin e la Russia erano diventati un’altra cosa rispetto al passato. Dunque per ragioni molto diverse tra loro ma paradossalmente convergenti a voler mettere una pietra sul passato ci sono quelli che stavano con l’Urss anche dopo Budapest e Praga e quelli che, dopo il Muro, con la Russia di Putin hanno stretto rapporti commerciali e amicizie personali fino a trasformare un ex sbirro del Kgb in uno statista democratico ignorando il trattamento riservato agli oppositori, alcuni fisicamente e brutalmente eliminati. E dimenticando, sempre che lo abbiano mai letto o appreso, quanto sosteneva Ernesto Rossi per il quale “nello stato comunista non c’è posto per le minoranze dissenzienti” ma “una sola verità, quella degli uomini al potere”.
E lasciamo stare la russofilia degli italiani, che ci sarà pure, ma non sembra il caso di confondere gli architetti dell’Ermitage e le griffe dell’alta moda con gli inventori dei gulag.
E ancora. Nel “non detto” c’è la componente economica della sudditanza italiana dalla Russia con riferimento all’importazione di gas da questo paese. Che l’Italia fosse un paese a corto di energia e piuttosto riottoso e stupidamente contrario alla ricerca di fonti naturali alternative era cosa nota da molti anni. Eppure non solo non si è fatto nulla per ridurre questa sudditanza ma la si è alimentata con metodi che non sarebbe male se venissero alla luce per sapere almeno se, come nella Traviata verdiana, Putin può dire “questa donna pagata io l’ho” facendo i nomi delle “Violette” in questo caso realmente retribuite. Se non si ha il coraggio di raccontare questo passato, remoto e prossimo, è difficile spiegare l’ira di Putin.
A meno che non sia lui a scoprire le carte, a chiarire il “tradimento” che lo ha spinto ad attaccare il paese europeo che sembrava ed era (lo è in parte ancora adesso) meno ostile alla Russia. Ma non lo farà sempre che la situazione non precipiti nel baratro di una guerra dove non ci saranno più motivi per tacere. Nell’attuale situazione non lo farà perché deve difendere un passato indifendibile e un presente di cui ha ancora bisogno. Resta da sperare in un chiarimento almeno sul fronte nostrano dove invece si continua a girare attorno all’argomento accontentandosi di dire che Putin attacca l’Italia perché siamo l’anello debole dell’Unione Europea. Il che può essere vero ma questo non ha niente a che vedere con i filoputiniani vecchi e nuovi e neppure con le importazione di gas. 

 

 

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