di Paolo Pagliaro
Il 6 aprile Eugenio Scalfari avrebbe compiuto 100 anni e la sua vasta tribù – quella cresciuta leggendo Repubblica – gli rende omaggio in vari modi. Ci sarà un libro, curato dal nipote Simone Viola. E a Roma, all’Auditorium, il drammaturgo Stefano Massini si affiderà agli scritti di Scalfari per un viaggio a cavallo tra i due millenni: dal terrorismo a tangentopoli, dalla parabola della Dc a quella di Craxi, dalla nascita del berlusconismo alle mille traversie della sinistra. E poi il papato dell’amico Francesco, il dramma dei migranti, le nuove tedenze del costume e della cultura.
Molta politica, ma anche molta economia e altrettanta attenzione alle trasfomazioni sociali: il giornalismo di Scalfari non aveva certo l’ambizione di apparire super partes, per via della passione che non è mai neutrale ed essendo Repubblica quello che gli avversari definivano polemicamente un «giornale-partito».
Ora che i giornali parito abbondano, soprattutto a destra, si può dire che anche in questo il fondatore di Repubblica fu un precursore. Ed è curioso che, sempre da destra, non si perdoni a Scalfari ciò per cui si ammira Berlusconi, cioè di aver fatto del proprio mestiere anche un affare.
Un merito che forse anche gli avversari riconosceranno a Scalfari è stato quello di aver saputo creare una nuova comunità di italiani riunendoli attorno a quelle appartenenze convenzionali che sono i giornali , con l’aggravante, per chi non ama Scalfari, che L’Espresso e Repubblica furono giornali di successo. Adesso per l’informazione scritta è tutto più difficile e forse ha ragione Bruno Manfellotto quando dice che domani con il secolo di Scalfari si celebra anche la fine del secolo di carta.
(© 9Colonne - citare la fonte)