Alcuni giorni fa il ministro dell’Interno ha presentato in Parlamento la corposa relazione (424 pagine) sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nel 2024. In genere, negli anni passati, le informazioni si riferivano ad un semestre e, quindi, il riferimento all’intero 2024 è una “assoluta novità” perché, come opportunamente ha sottolineato lo stesso direttore della DIA nella premessa, disporre di un importante resoconto “ravvicinato” e maggiormente significativo va “..a tutto beneficio dell’Autorità politica, magistratuale, prefettizia e degli altri stakeholder istituzionali, oltre che dei media , che dalla Relazione attingono per le rispettive finalità”.
Da una trentina di anni (poco dopo la istituzione, nel 1991, della DIA) leggo le relazioni prodotte ( le prime di poche pagine) e debbo dire che quest’ultima è la più minuziosa e completa di tutte. Certo lo scenario criminale nazionale illustrato nonostante le importanti operazioni antimafia delle forze di polizia degli ultimi anni, non è per nulla rassicurante tanto più che alle mafie nostrane si sono aggiunte, negli anni, quelle straniere. La DIA rileva come i gruppi criminali stranieri operanti in Italia continuano a manifestare un interesse prevalente nel mercato delle droghe, con gli albanesi che sono riusciti addirittura ad occupare un ruolo comprimario rispetto agli esponenti della mafia calabrese e della camorra barese. La criminalità albanese rappresenta, dunque, una “delle espressioni più complesse e strutturate della criminalità straniera in Italia” attiva anche in altri ambiti illeciti come il traffico di armi, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione e la commissione di reati tributari.
E’, comunque, la criminalità nigeriana quella che desta maggiore preoccupazione in quanto presenta le caratteristiche tipiche delle mafie autoctone, come il controllo penetrante del territorio, l’omertà ed un forte senso di appartenenza. In questi ultimi tempi, poi, si è tornati a parlare molto della criminalità organizzata cinese ( allarme rilanciato da Luca Tescaroli, Procuratore della Repubblica di Prato, città dove vive una forte comunità di cinesi) che presenta caratteristiche peculiari ( tra cui la struttura gerarchica e chiusa basata su relazioni familiari e solidaristiche) che ne rendono difficile persino il contrasto da parte delle forze di polizia (“..un fenomeno difficile da reprimere efficacemente” come annota la DIA).
Nel panorama criminale italiano hanno trovato spazio anche gruppi della criminalità romena, di quella sudamericana, balcanica e dei Paesi dell’ex Unione Sovietica, di quella Medio Orientale e del Sud-est asiatico. Un’attenzione particolare viene riservata nella Relazione a Roma città metropolitana dove nel periodo esaminato il panorama criminale si è ulteriormente aggravato con “..la tendenza dei gruppi criminali autoctoni a radicarsi stabilmente in specifiche aree e quartieri della Capitale, mentre le mafie tradizionali continuano a privilegiare il controllo del tessuto economico.”. Nella Capitale le ‘ndrine di Sinopoli, di Palmi, di San Luca, di Platì, di Rosarno, di Africo Nuovo, di Gioia Tauro e di Oppido Mamertina hanno consolidato da tempo la propria influenza nei molteplici contesti economici e finanziari.