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direttore Paolo Pagliaro

Sostenibili
o ragionevoli?

Sostenibili <br> o ragionevoli?

di Oronzo Mazzotta*

Il diritto si alimenta di formule magiche o, assai più spesso, di parole, parole che talvolta identificano una fase storica di una determinata disciplina giuridica. Pensiamo per il diritto del lavoro ad espressioni come “emergenza”, “flessibilità”, “ripresa”, ma anche “concertazione” o “conflitto”. Queste parole per essere comprese devono essere oggetto di manomissione, come dice con formula azzeccata uno scrittore contemporaneo, ed in un duplice senso: anzitutto come “rottura, violazione” e quindi ricerca di uno o più sensi, e poi come “liberazione” (manomissione era il termine che il diritto romano utilizzava per il riscatto dello schiavo), cioè come liberazione da convenzioni verbali o non significati.
Il nostro tempo è caratterizzato dall’abuso dell’espressione “sostenibilità”, che viene declinata negli ambiti più diversi (dall’ecologia alla biologia, dall’economia al diritto). Anche il diritto del lavoro è entrato nel cono d’ombra della sostenibilità. Partiti dalla domanda «cosa può fare il diritto del lavoro per una ripresa sostenibile o per la sostenibilità del valore sociale dell’impresa?» si è approdati, attraverso molti passaggi intermedi, a prospettare formule giuridiche che possano garantire «un diritto del lavoro sostenibile».

         Il lettore avrà colto la differenza fra le due opzioni. Con la prima si auspica una maggiore collaborazione fra le parti sociali (nella forma della partecipazione e/o del patto fra antagonisti) con l’intento di pervenire all’obiettivo comune di una sostenibilità, per così dire condivisa. La seconda declinazione – se mi si passa la brutale semplificazione – ci porta invece di filato verso un conflitto fra economia e diritto nel quale si è già deciso che l’economia debba prevalere sulle regole giuridiche cioè che il mercato debba prevalere sul diritto.  Si ingenera così una contrapposizione artificiosa fra una scienza economica asettica ed un diritto del lavoro che invece gronda di valori. In realtà gli effettivi termini della contrapposizione si pongono fra i valori dell’economia (efficienza, competitività) ed i valori di cui è portatore il lavoro (solidarietà, giustizia distributiva): lo scontro è quindi l’eterno scontro tra efficienza e solidarietà, fra economia e stato sociale.
Nelle aule di giustizia però all’idea di sostenibilità si contrappone quella di ragionevolezza, una ragionevolezza che invade spazi sempre più ampi, talvolta anche praeter legem. Qualche esempio, fra i tanti possibili. La Corte di Giustizia UE sanziona l’omessa previsione, nell’ordinamento italiano, di “soluzioni ragionevoli” dirette a facilitare il lavoro dei disabili e costringe il patrio legislatore ad intervenire con una disposizione specifica, allargando così gli spazi di interlocuzione del giudice del lavoro, con il potere di soppesare, nel merito, l’onerosità delle varie scelte organizzative datoriali ed escludendo solo quelle troppo onerose. Nella giurisprudenza di legittimità talvolta si affaccia il criterio della ragionevolezza nello scrutinio della legittimità dei licenziamenti economici. Finalmente: la Consulta ricorre a piene mani alla ragionevolezza nella complessa opera di riscrittura delle recenti riforme in materia di licenziamento.
Ed allora: sostenibilità o ragionevolezza?

* Professore Emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Pisa

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