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Paolo Virzì, il capitale disumano

Paolo Virzì, il capitale disumano

Per una volta un avvio convenzionale, partiamo dal titolo, perché “Il capitale umano” è un titolo bellissimo, infatti è il titolo di un libro (un romanzo di Stephen Amidon), prima che dell’ultimo film di Paolo Virzì. Bello e terribile - questo capitale umano - che sia terribile lo si scopre dal primo fotogramma, con una sensazione indefinita di angoscia montante, si conferma come certezza ai titoli di coda: il capitale umano, spiega un testo finale, è il parametro attraverso cui si stabiliscono le cifre dei risarcimenti che le assicurazioni pagano in caso di morte ai parenti delle vittime. La qualità e la quantità dei legami, il numero dei figli, il reddito, la speranza di vita, fanno un prezzo diverso a seconda dei casi. Il mondo ha definitivamente mercificato l’uomo. In questo splendido film di Virzì, in cui gli affezionati all’inizio stentano a riconoscere la mano del regista livornese, di norma leggera e solare, le persone sembrano aver tatuate tutte un prezzo. Ben diverso dal valore, il prezzo fa agire l’essere come fosse in un planetario centro commerciale senz’anima. Mi conviene, non mi conviene, questo è il problema. Roberto Escobar su “L’Espresso” ha parlato di fine della commedia, ed ha ragione (“pare suggerire Virzì, ora la commedia è finita. È finita (forse) la messinscena di una élite finanziaria che non riesce più a nascondere d’essere criminale”). Il clima del film, se il genere è il giallo, è quello del cielo carico prima della tempesta, anche se è sereno (se si permette un passaggio montaliano proprio perché “il sereno è la più distesa delle nubi”). In breve: c’è un ricco speculatore finanziario (Fabrizio Gifuni), corredato di lusso, ha una moglie bella (Valeria Bruni Tedeschi), che da giovane sognava di fare l’attrice, ed un figlio figo ma citrullo. C’è uno che ha un’agenzia immobiliare (Fabrizio Bentivoglio), che pur d’entrare nel gota dello speculatore, sfrutta la vicinanza tra sua figlia ed il citrullo, per infilarsi indebitandosi nel remunerativo fondo del finanziare (senza neanche considerare l’alto rischio dell’operazione). C’è un incidente all’inizio, viene travolto un ciclista, si capisce che ci rimetterà le penne, non si capisce chi è stato a buttarlo fuori strada. La detection sulla ricerca del colpevole coinvolge tutti. Alla fine viene voglia di farsi una domanda: qualcuno si salva? Chi si salva? E quale capitale umano salverà il mondo, che visto così fa veramente schifo? Azzardiamo una risposta: le donne, uniche figure positive del capitale umano, forse perché ne sono genitrici (Valeria Golino, incinta nel film, è una figura positiva, senza prezzo, come pure Serena, figlia del pessimo immobiliarista, la bellissima Matilde Gioli, e sotto sotto anche Carla, moglie dello speculatore Giovanni, che si improvvisa magnate teatrale pur di ritrovare un senso alla vuotaggine imperiale nella quale galleggia con autista).

Valerio de Filippis

(© 9Colonne - citare la fonte)