di Paolo Pagliaro
La prima notizia è che sta crescendo la domanda di acciaio, e poiché l’acciaio serve per le macchine e l’edilizia, per gli elettrodomestici e le costruzioni, questo significa che l’economia ha ripreso a girare. La seconda notizia è che dopo tanti anni l’industria siderurgica nazionale torna in mani italiane. Entro maggio l’Ilva di Taranto passerà anche formalmente sotto il controllo dello Stato, mentre nei giorni scorsi il gruppo Arvedi è subentrato ai tedeschi della Thyssenkrupp nella proprietà delle acciaierie di Terni, che con i loro 2700 addetti e i loro 150 anni di vita rappresentano un pezzo di storia dell’industria italiana.
Giovanni Arvedi ora ha deciso di incrementare e quasi raddoppiare le dimensioni della sua impresa che produce laminati piani negli stabilimenti di Cremona e Trieste, e nastri di precisione in acciaio inossidabile in quello di Sestri Levante. Con l’aggregazione di Terni nasce un gruppo con oltre 6 mila dipendenti e la capacità di garantire il ciclo integrale nella produzione dei diversi tipi di acciaio.
E’ una buona notizia anche perché Arvedi in questi anni è stato tra i protagonisti di un rinnovamento tecnologico che gli è valso riconoscimenti in tutto il mondo e che consente all’industria italiana dell’acciaio – con l’eccezione vistosa di Taranto – di ben figurare nelle classifiche europee della sostenibilità produttiva.
Ora Arvedi, che ha 84 anni, pensa già ad altre sfide: si sta dedicando all’agricoltura di qualità e in particolare all’allevamento sostenibile. Ha scritto Palo Mazzanti che finché ci saranno giovanotti come lui, il Paese avrà un futuro.
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